Ora Meranda rischia l'"avviso" I pm vanno a caccia dei soldi

Si complica la posizione dell'avvocato: avrebbe avuto un ruolo «attivo» nelle trattative. Presto sarà ascoltato

Ora Meranda rischia l'"avviso" I pm vanno a caccia dei soldi

Non è solo un testimone Gianluca Meranda, l'avvocato calabrese che si è autoindicato come partecipante all'incontro del 18 ottobre all'Hotel Metropol di Mosca. In quell'incontro, secondo la Procura di Milano, vennero poste le basi per una gigantesca opera di corruzione di funzionari statali russi in cambio dello sconto su una fornitura di petrolio all'Italia, in modo da finanziare la campagna elettorale della Lega. Gianluca Savoini, l'emissario a Mosca di Matteo Salvini, è già finito nel registro degli indagati per corruzione internazionale. E lo stesso destino rischia di correrlo ora Meranda. Sarebbe un brutto inciampo per un professionista che della credibilità nel mondo della finanza internazionale ha fatto la chiave del suo successo.

Meranda - 49 anni, massone dichiarato - ha spiegato nei giorni scorsi di avere partecipato all'incontro a Mosca per conto di clienti di cui non ha fornito il nome, indicandoli genericamente come compagnie petrolifere e banche d'affari, e definendosi «general counsel di una banca d'affari anglo-tedesca». Se il suo ruolo si fermasse qui, la Procura potrebbe limitarsi a interrogarlo come «persona informata sui fatti». In realtà, stando alle registrazioni dell'incontro, Meranda non si limita affatto ad ascoltare. Anzi, è lui - quanto e più di Savoini - a menare le danze, portando la discussione sul tema che sembra stargli più a cuore: la spartizione tra italiani e russi della «cresta» realizzabile sulla fornitura di greggio. Se lo sconto arriva al 10 per cento, spiega Meranda agli interlocutori, c'è lo dividiamo così: 4 per cento a noi, 6 per cento a voi.

Se Savoini è per questo accusato di corruzione, non si capisce come l'avvocato possa schivare il registro degli indagati. Anche perché il quadro che Meranda punta a dare di se stesso, ovvero quello di un professionista estraneo ai giri della politica, è smentito da una semplice visita ai suoi profili social, da cui emerge una marcata simpatia per la Lega e per Matteo Salvini in particolare. Lo schema dell'operazione, secondo le ipotesi investigative della Procura di Milano, è a questo punto abbastanza chiaro. Savoini sarebbe l'uomo che, grazie ai suoi contatti moscoviti, elabora il progetto destinato a risolvere le difficoltà economiche del partito e (particolare non secondario) a catapultare lui stesso nel Gotha leghista. Ma l'operazione si muove su un terreno estremamente complesso, fatto di contratti iperspecialistici e di relazioni d'affari non certo alla portata di chiunque. Savoini non è assolutamente in grado di muoversi in questi ambiti. Probabilmente dai suoi contatti russi ha già incassato una disponibilità di massima a sostenere il partito dell'amico Salvini. Ma perché l'operazione vada in porto serve un tecnico: ed è a quel punto Savoini a chiamare in aiuto Meranda, con cui è da tempo in contatto: anche perché lo studio legale inglese di cui Meranda è socio è iscritto alla Camera di commercio Italo-Russa, uno dei salotti buoni che si battono per la rimozione delle sanzioni a Mosca.

Savoini ideatore e mente politica, Meranda braccio operativo. Questa è, in sostanza l'ipotesi investigativa. Che lascia aperti due interrogativi fondamentali. Cosa ne sapeva Matteo Salvini? E l'operazione è andata in porto? Meranda ha dato già le sue risposte: Salvini non ne sapeva niente e l'affare non si è chiuso.

La Procura difficilmente si accontenterà. Ma per capirci qualcosa bisogna dare la caccia ai soldi. Se qualcosa è arrivato in Italia, non sarà difficile. Ma se il tesoro, in tutto o in parte, è ancora in Russia rischia di essere una caccia impossibile.

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