Roma - Le polemiche contro il Parlamento per il voto che giovedì ha «salvato» Augusto Minzolini sono fuori luogo: «L'assemblea è sovrana, per cui la decisione sul caso Minzolini è formalmente incontestabile e va rispettata», taglia corto Dario Stefàno, presidente della Giunta per le immunità del Senato ed eletto nelle file di Sel. Che spiega: «Il regolamento del Senato prevede la possibilità di presentare, in Aula, ordini del giorno in difformità dalle conclusioni della Giunta, proprio come è avvenuto in questo caso, con l'ordine del giorno a prima firma Caliendo che è stato approvato».
Ci sono partiti e giornali che accusano i senatori di aver «stracciato» la legge Severino.
«Lasciamo perdere le conclusioni affrettate o fantasiose. Basta ricordare i precedenti: in un caso al Senato (Berlusconi) e in un altro alla Camera (Galan) le previsioni della legge Severino hanno avuto puntuale corso».
Lei - anche da presidente della Giunta - pone al Parlamento una questione: invece di andare avanti per voti ogni volta diversi e relative polemiche, fate una seria proposta di modifica della legge. La Severino va cambiata?
«Ho fatto una riflessione di buon senso. In Assemblea ho sentito tuonare contro la legge Severino, a ciò si aggiungano le vicende intricate di De Luca e de Magistris. Pertanto, o si applica con senso di legalità la disciplina delle incandidabilità e delle decadenze, oppure si procede con coraggio a presentare proposte di modifica. In uno Stato di diritto dovrebbe essere così. Non si può non applicare una legge, criticarla, ma poi non modificarla per paura delle ricadute negative sull'opinione pubblica».
Lei parla di «criticità evidenziate sulle ineleggibilità, le incompatibilità, le incandidabilità e le decadenza». Quali? E come andrebbero risolte?
«Le problematiche sono molteplici. Mi limito a ricordare le oscillanti prassi sulla compatibilità fra le cariche di sindaco e di parlamentare, oppure la stessa tormentata vicenda della possibile ineleggibilità di Silvio Berlusconi. Incertezze dovute al fatto che le due leggi prevalentemente da applicare risalgono al 1953 ed al 1957, quando l'assetto amministrativo dello Stato era completamento diverso. La sede più opportuna per razionalizzare la normativa sarebbe la nuova legge elettorale».
Lei ha gestito, da presidente della Giunta, la vicenda della decadenza di Berlusconi. Ma fin da allora non ha nascosto alcune perplessità sugli strumenti individuati dalla norma. Quali?
«Va chiarito il ruolo della deliberazione parlamentare, che è essenziale ai fini del rispetto della Costituzione ma che non può trasformarsi in un libero arbitrio, dovendo applicare le conseguenze previste da una legge, dopo una sentenza di condanna definitiva. Se ci sono margini di incertezza, decida insindacabilmente la Camera di appartenenza. Ma se non vi sono dubbi applicativi, un'eventuale decisione ostativa non può che rappresentare il sintomo di cattivo uso della prerogativa parlamentare, come tale anche censurabile davanti alla Consulta in un eventuale conflitto di attribuzione. Questo andrebbe precisato sul piano normativo, come già avvenuto per esempio per le delibere parlamentari di insindacabilità».
Il grillino Di Maio ha incitato alla rivolta violenta di piazza contro il Parlamento.
«È evidente l'inopportunità di alcuni esercizi dialettici quando si è chiamati a ricoprire ruoli istituzionali.
Potrei citare la frase di Salvemini sulla violenza dei fascisti contro le istituzioni e fare bella figura. Ma la situazione è molto più complessa e rischia di sfuggire di mano. La politica deve dare risposte ai cittadini, per evitare che si rivolgano ai partiti anti-sistema».
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