Nelle feste della Lega che come ogni estate animano paesotti, paesini e città del Nord, ormai è diventato una specie di ritornello. «Niente da dire su Matteo, ma questi qui al governo litigano troppo...». Questi qui, neanche a dirlo, sono Lega e 5 stelle e forse nemmeno le rassicuranti dichiarazioni del pompiere Di Maio basteranno a spegnere l'incendio che si sta lentamente ma inesorabilmente appiccando da prati, pratini e pratoni del Carroccio.
Salvini, che conosce palmo a palmo la Lega, perché l'ha scalata seguendo la scia dell'odore delle salamelle, ha capito che a questa marea fedele ma scontenta deve concedere qualcosa. E ha pensato bene di chiedere la testa di due ministri da sempre suoi avversari: la titolare della Difesa, Elisabetta Trenta, e il ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli. La base leghista, a partire dagli imprenditori del Nord che mal sopportano lo stop alla Tav e alle opere, piccole o grandi che siano, ricominciano a sperare. I militaristi padani, che continuano ad abbondare nel parterre dei militanti del Carroccio, gioiscono sui lunghi banconi, tra birre artigianali e cotolette spesse due dita, sperando di liberarsi al più presto del ministro della Difesa più pacifista che la storia ricordi.
Ma i motivi che spingono Salvini a mettere nel mirino proprio quei due nomi, Elisabetta Trenta e Danilo Toninelli, sono nascosti nell'articolo uno del decreto Sicurezza bis, quello che avrebbe dovuto trasformare Salvini in un vero Capitano dei mari. Aprire e chiudere i porti a piacimento, decidere le sorti delle navi (e delle barchette di naufraghi) che si avvicinano alle italiche coste.
Eccolo il testo destinato a incoronarlo signore del Mediterraneo, o almeno delle coste italiane: «Il Ministro dell'Interno, Autorità nazionale di pubblica sicurezza... nell'esercizio delle funzioni di coordinamento... e nel rispetto degli obblighi internazionali dell'Italia, può limitare o vietare l'ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale, salvo che...». Salvo che.
Sono queste due paroline finali, «salvo che», a lasciare agio alle Capitanerie di porto e alla magistratura di lasciar applicare la legge del mare, ovvero soccorrere chi è in difficoltà e rischia di morire. La copertura politica, più o meno esplicita, è fornita da quei due signori dei Cinque stelle che si chiamano Danilo Toninelli, ministro delle Infrastrutture, e Elisabetta Trenta, ministro della Difesa. Sono loro a contendergli il reale controllo dei porti. Sono loro a impedire che il soprannome «Capitano» resti poco più che un gioco.
Salvini lo sa bene, come capisce di non poter chiedere la testa di Toninelli e Trenta in nome del suo desiderio di fare il bello e il cattivo tempo tra le onde. Però, parlando di rimpasto, ha chiesto di sostituire proprio coloro che più lo ostacolano dall'attuare a pieno il Decreto Sicurezza bis. Il 13 agosto è la data entro cui dovrà essere convertito in legge. Il 13 agosto è anche la data in cui si vedrà quanto la leadership di Salvini sia stata sfiancata dall'affaire Russia.
Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha detto che nessuno gli ha chiesto un rimpasto. Ha ben chiaro che, come allo shangai, toccare un bastoncino può fare scivolare tutti gli altri. Ma se il commissario europeo arriverà dalle file del governo, se per esempio sarà Enzo Moavero Milanesi ad andare a Bruxelles, la casella degli Esteri rimarrà sguarnita e il totoministri non potrà che ripartire.
«Ai nostri tempi, per coprire un caso come quello che in Russia ha coinvolto Salvini, avremmo fatto finta di aprire una crisi, per poi chiuderla subito» ha dichiarato al Corriere Angelo Sanza,
democristiano di lunghissimo corso. A breve si capirà se davvero Trenta e Toninelli possono andare a casa per salvare gli equilibri Di Maio-Salvini, la coppia a cui far finta di essere in crisi continua a convenire di più.
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