È il giorno in cui la ferita si riapre. «Non mi chieda se festeggio il 2 giugno». Emanuele Filiberto è nel Sud della Francia per una manifestazione di beneficenza. «È un evento di cucina, c'è tanta gente e si fanno incontri interessanti, ma questa resta per me una data triste».
Il 2 giugno 1946 ci fu il referendum: le schede contestate, i presunti brogli. Ma ormai sono passati più di settant'anni.
«Certo, non vorrei essere frainteso. Io sono italiano e sono orgoglioso di esserlo. Lasciamo perdere i voti taroccati. La storia è andata come è andata, io mi riconosco nell'Italia attuale. Ma poi c'è quell'immagine di mio nonno».
Umberto?
«Si, lui che sale sull'aereo. È il 13 giugno 1946. Il portellone sta per chiudersi. E lui fa ciao all'Italia e agli italiani».
Un momento doloroso?
«In quell'istante, dopo il risultato del referendum, mio nonno parte per l'esilio che durerà 37 anni: tutta la vita. Non rivedrà più l'Italia. Nemmeno da morto: ancora oggi è sepolto nell'abbazia di Hautecombe, in Francia».
I Savoia pagavano le loro responsabilità.
«Ci sono tante foto, scattate in quei lunghi 37 anni, che documentano la sofferenza di re Umberto. Ma posso aggiungere un dato personale».
Quale?
«Io ero solo un bambino, ma gli ho parlato tante volte. A Londra, a Ginevra, quando veniva a trovarci, e a Cascais, in Portogallo, dove risiedeva».
E che cosa ricorda?
«Più che i discorsi ho in mente lui».
Lui?
«Aveva una grande tristezza negli occhi che si accentuava quando parlava dell'Italia. Affetto. Sofferenza. Nostalgia. Tanta, tanta tristezza. E la voce in quelle occasioni aveva un tremolio. Ecco perché il 2 giugno non posso festeggiare. Rivedo mio nonno e quel tremolio. È un'esperienza che mi ha segnato. Poi, se dalla mia infanzia passo all'attualità, c'è il presente che dà motivi di preoccupazione, di ansia, di inquietudine come quell'incrinatura nella voce».
Abbiamo avuto una lunga crisi, ma ora, finalmente, c'è il governo. Soddisfatto?
«Sì, abbiamo perso giorni e settimane infilati dentro un labirinto di cui non si vedeva l'uscita. Ora che parte il nuovo governo, speriamo di recuperare terreno. Ma l'Italia, il mio Paese, è indietro. Terribilmente indietro».
Che cosa ci manca?
«Abbiamo attraversato una grave crisi economica. Ci sono milioni di persone in povertà. Ci vorrebbe una legge elettorale diversa e nella storia di questa Repubblica, cominciata con il dramma di mio nonno, ci sono stati troppi governi: questo è il sessantacinquesimo. C'è troppa frammentazione. Ogni legislatura viene riempita da tre-quattro esecutivi di cui poi non ricordiamo nemmeno i nomi».
Questo giallo-verde durerà?
«Io faccio gli auguri a tutti. Ma questo governo ha rischiato di non nascere per il braccio di ferro sul ministro dell'Economia. Una pagina buia, sotto i riflettori di tutto il mondo. Con tutto il rispetto, non ho capito il veto posto dal presidente Mattarella sul nome di Paolo Savona».
Il presidente Mattarella ha spiegato quel no.
«A mio parere, non avrebbe dovuto opporsi. Il presidente, come il re, dovrebbe essere tenuto a rispettare le indicazioni dei partiti che hanno vinto le elezioni».
Ancora con il re?
«I Savoia hanno sempre obbedito alle indicazioni del popolo. Anche il giorno del referendum, pure se c'erano forti sospetti sui risultati di quella consultazione. Mio nonno partì, disinnescando il rischio di guerra civile».
Lasci perdere il 1946.
«Appunto. Il presidente della repubblica deve essere super partes. Altrimenti dà l'impressione di schierarsi contro i cittadini che sono andati ai seggi. Questo almeno finché siamo dentro il perimetro di una Repubblica parlamentare che è esattamente come una monarchia costituzionale».
Pensa a suo nonno?
«Non possiamo dire cosa avrebbe fatto, non avrebbe senso. Però ritengo che mai avrebbe contrastato la volontà della maggioranza parlamentare».
Savona è un euroscettico.
«Siamo tutti euroscettici. Che l'Europa funzioni male mi pare un dato di fatto. E mi sembra pure evidente che l'Italia conti poco rispetto alla Germania e alla Francia».
Troppo squilibrio?
«Lo sanno tutti che è cosi. L'opinione pubblica è rimasta disorientata: come se Mattarella si fosse inchinato ai desiderata di Germania e Francia».
Lo spread continuava a salire.
«L'abbiamo visto. Tutto il mondo ha puntato gli occhi sull'Italia. Ma siamo in una Repubblica parlamentare. Non va bene? Facciamo una repubblica presidenziale o semipresidenziale, come in Francia».
Lei sarebbe favorevole?
«Per me sarebbe un ottimo modello. Io però in quelle ore convulse mi sarei posto un altro quesito: come mai i movimenti cosiddetti euroscettici hanno avuto cosi tanti voti?».
La crisi?
«Di più: la frustrazione perché l'Europa sembra sorda davanti alle aspettative della gente comune».
Adesso l'Italia ha un governo.
«Finalmente. Dobbiamo ritrovare l'orgoglio di essere italiani. Dobbiamo recuperare il terreno perduto. L'Italia non è seconda a nessuno e non c'è alcuna ragione per cui debba restare indietro rispetto a Francia e Germania. Per questo, dopo i giorni di smarrimento, caos, confusione, apprezzo molto che i protagonisti della trattativa, a cominciare proprio dal presidente Mattarella, abbiano ripreso il filo del dialogo, si siano parlati, abbiano superato incomprensioni, diffidenze, pregiudizi. Questo fa ben sperare per il futuro difficile che abbiamo davanti.
Me lo auguro per l'Italia cui appartengo, anche se il 2 giugno non è una bella giornata. Rivedo mio nonno, il suo sguardo colmo di un amore non ricambiato per il suo Paese, quelle parole spezzate. Avevo 11 anni quando morì, ma quel giorno non è mai passato».
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