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Orrore nel convento in Burundi. Massacrate tre suore italiane

Sarebbero state stuprate e una decapitata. Ma i saveriani smentiscono l'abuso sessuale. Ancora i cristiani nel mirino, Papa Francesco: "Il loro sangue diventi seme di speranza"

Suor Bernadetta Boggian, in una foto dal sito della Diocesi di Parma
Suor Bernadetta Boggian, in una foto dal sito della Diocesi di Parma

Nell'Africa nera, come nell'islam, la caccia ai cristiani è sempre aperta. Una pistola, un fucile, un machete, un bastone. Ultimamente hanno fatto la loro comparsa anche le pietre. In genere le vittime non sono sofisticate, quanto all'arma del delitto. Come con le quaglie e i beccafichi, il rischio per i cacciatori è d'altronde minimo. Preti, suore, converse e sacrestani, uomini e donne con un crocifisso al collo. Se è gente gracile e indifesa, e questo di solito sono i cristiani, gli assassini preferiscono. Si rischia meno.

Le tre missionarie saveriane uccise in Burundi sono le ultime, in ordine di tempo, di una carneficina che al di là delle condoglianze internazionali di rito lascia il mondo alquanto indifferente. Anche il fatto che siano state violentate (ma in serata la vicaria generale delle saveriane, suor Silvia Marsili, ha smentito la notizia) e che una sia stata addirittura decapitata, aggiunge solo «colore» - nelle nuances del nero, si suppone -, alla tragedia, all'«orrore», come si dice nei titoli di testa dei telegiornali. Due delle suore sono state uccise nel pomeriggio di domenica, la terza nella notte tra domenica e lunedì. Uccise per rapina, si dice. Di fronte a questi assassini, feroci come scimpanzè, ecco la calma implacabile di Papa Francesco. «Il loro sangue (delle suore, s'intende, ndr ) diventi seme di speranza per costruire autentica fraternità tra i popoli». E Giorgio Napolitano: «Un atto vile ed esecrabile, l'Italia tutta è addolorata».

Suor Lucia Pulici, 75 anni, e suor Olga Raschietti, 83, sono state aggredite domenica pomeriggio nel loro convento di Kamenge, un quartiere settentrionale di Bujumbura, nei pressi della parrocchia intitolata a Guido Maria Conforti. Il convento sostiene un Centro per i giovani fondato dai Padri saveriani che promuove la convivenza tra etnie diverse. La terza missionaria, suor Bernardetta Boggian, 79 anni, è morta in un secondo momento, nella notte tra domenica e lunedì. Ma se si tratti del terzo episodio di un'identica strategia, o di episodi diversi, legati da una stessa regia, le autorità del Burundi non sanno ancora dire. Anche se all'ipotesi della rapina pare non credano molto. Non che importi molto, del resto. Ma se non è stato il denaro non resta che pescare nell'odio, nell'avversione ideologica, nel furore anticristiano propagandato con successo dalle frange più oltranziste dell'islam nel continente nero, per scoprire le radici della strage. O nella follia, alimentata comunque da un clima d'odio nei confronti delle nostre comunità missionarie.

Il Burundi è stato già teatro di attacchi a conventi. Nel novembre del 2011, il cooperante italiano Francesco Bazzani era rimasto ucciso in un attacco a un convento a Ngozi, nel nord del Paese. L'uomo era stato chiamato per risolvere un guasto elettrico ed era stato aggredito insieme a suor Lucrezia, croata, da due neri. I due assassini erano stati arrestati il giorno seguente e poi condannati all'ergastolo. Ora, per il triplice omicidio delle suore, la polizia ha lanciato una caccia a un giovane, probabilmente uno squilibrato, visto fuggire con un coltello in mano dal convento dopo l'aggressione alle prime due suore. Ma è tutto ancora molto nel vago. «La mia vocazione è lì»: sono le parole che Olga Raschietti, ripeteva spesso ai familiari per spiegare le ragioni, sempre attuali, che oltre 50 anni fa l'avevano portata in Africa.

Le stesse parole, la stessa storia personale delle sue consorella. Suor Olga era partita missionaria da Montecchio Maggiore (Vicenza), dove abitano ancora cinque fratelli. «È morta - dice il fratello Arduino, 88 anni - per la sua vocazione e se sul piano umano sono dispiaciuto come cristiano sono orgoglioso. È già nei cieli, ne sono certo e lo dico rispettando il credo di ognuno». «Era la zia d'Africa - ricorda una nipote - e da bambini ci portava sempre un ricordo quando tornava a casa. Siamo tantissimi nipoti ma si ricordava di tutti e per tutti c'era un regalino». La zia suora che faceva la missionaria in Africa. Una figura che va passando «di moda».

E di cui ci scopriamo a dire: meno male che ci sono ancora.

 

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