Una associazione segreta a delinquere fatta da una sola persona. La terribile P4, l'associazione che infettava il paese, «organizzata e mantenuta in vita allo scopo di commettere un numero indeterminato di reati contro la pubblica amministrazione e la amministrazione della giustizia», «interferendo su organi costituzionali», trafficando notizie segrete e manovrando nomine, non esisteva. L'unico condannato, l'uomo d'affari Luigi Bisignani (che ha patteggiato la pena a un anno e sette mesi) era evidentemente associato solo con se stesso. Una auto-associazione a delinquere.
L'ultimo dei tre uomini chiave della loggia arrestati nove anni fa dalla Procura di Napoli è stato assolto ieri con formula piena: si chiama Alfonso Papa, era deputato, e fu il primo parlamentare italiano mandato in carcere dal voto dei suoi colleghi, che approvarono a maggioranza la richiesta dei pm napoletani. Papa si fece tre mesi nell'inferno di Poggioreale, poi lo misero ai domiciliari. Al processo di primo grado i pm Francesco Curcio e Henry John Woodcock chiesero per lui otto anni di carcere. Il tribunale gliene rifilò quattro e mezzo. Ieri la Corte d'appello di Napoli lo assolve con formula piena da tutte le accuse. «Finisce un calvario», dice Papa. Ma intanto la sua vita se l'è fregata la giustizia. «Ho perso la famiglia, ho perso il lavoro, ma vado avanti», mastica amaro l'ex deputato.
Un virus che aveva infettato il potere e le istituzioni, forte di legami occulti e inconfessabili con il mondo della sicurezza e dell'intelligence. Così, a manette ancora calde, il bliz dei pm napoletani descrisse la cricca capeggiata da Bisignani, da Papa, e nientemeno che da un maresciallo dei carabinieri, Enrico La Monica. Leggendo bene le carte, si capiva che della effettiva esistenza dell'associazione segreta dubitava anche il giudice che aveva ordinato gli arresti. Ma nel mondo dei media e della politica fecero finta di niente: la P4 esisteva, e la Procura l'aveva sgominata. Anche se chi fossero gli adepti non si capiva bene, visto che i capi di imputazione rimandavano ad un indistinto milieu di pubblici amministratori arruolati o da arruolare.
Strada facendo, l'inchiesta si arricchì di altre prede eccellenti: vennero incriminati come sodali di Papa e Bisignani persino il capo di Stato maggiore Michele Adinolfi e il comandante in seconda della Guardia di finanza Vito Bardi. Tutti e due poi archiviati, quando ormai le carriere erano finite in discarica.
Nel frattempo, Papa sopravviveva a Poggioreale, pressato dai pm perché scegliesse di collaborare. Alla fine perse la pazienza, e scrisse una lettera a un amico senatore: «Il pm Woodcock mi ha fatto sapere che sarebbe disponibile a farmi scarcerare se ammettessi almeno uno degli addebiti e rendessi dichiarazioni su Berlusconi e Lavitola e almeno su Finmeccanica». Papa non accontentò i pm, e quando venne scarcerato dal giudice preliminare la Procura fece (invano) ricorso per rispedirlo in carcere.
Ora, dopo nove anni, tutto finisce in niente. Certo, rimane la condanna patteggiata «per gravi motivi familiari» da Luigi Bisignani, unico colpevole di una associazione inesistente.
«Mi dispiace - dice ieri Bisignani - che mia madre non ci sia più. A quasi novant'anni aveva subito una perquisizione corporale alla ricerca di floppy disk. Ovviamente come mi consente la legge, chiederò la revisione: che arriverà, mi dicono, fra molti anni».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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