La parola dimissioni non l'ha pronunciata. Ma a tutti quelli che hanno intercettato Pier Carlo Padoan negli ultimi giorni non è sfuggita una stanchezza arrivata oltre il limite di tolleranza del ministro (notoriamente molto alto) e una voglia di scendere dal treno renziano il prima possibile. Andarsene appena si presenterà una occasione, senza danneggiare il Paese né il governo.
Mille giorni con il rottamatore sono tanti e il ministro dell'Economia fino ad oggi non ha dato problemi al premier. Ha mandato giù la cabina di regia sui temi economici che significa sostanzialmente che nel merito dei provvedimenti a decidere sono i consulenti di Renzi e non lui.
Gli uffici dei ministeri che scrivono le leggi sono in disarmo da tempo. Il capo del legislativo del dicastero dell'Econonomia Massimo Santoro si è dimesso a settembre per motivi personali e non è ancora stato ufficialmente sostituito. Durante la stesura della legge di Bilancio e, ancora di più, del decreto fiscale l'ufficio legislativo del ministero competente era senza guida.
Il rapporto tra Renzi e Padoan si è incrinato proprio durante la sessione di bilancio. Il metodo adottato nelle precedenti due «finanziarie» non ha funzionato. Di solito il premier faceva annunci, il ministro ridimensionava le aspettative e il prodotto finale era, in un modo o nell'altro, un compromesso. Questa volta no. Il decreto fiscale contiene coperture fondamentali per la legge di Bilancio che non convincono nessuno. La stessa legge di Bilancio si preannuncia un campo di battaglia, destinata a essere rovesciata dopo il referendum, a meno che il governo non intenda veramente andare alla guerra con la Commissione europea.
A Renzi l'idea non dispiace. Lui capta gli umori degli italiani, che sono sempre meno europeisti. Padoan non può e non vuole.
La legge di Bilancio è stata sostanzialmente bocciata dalla Commissione. Il presidente Jean Claude Juncker e anche Pierre Moscovici, commissario francese agli Affari economici, colomba dell'esecutivo Ue, hanno più volte sottolineato che il testo non corrisponde al compromesso tra ministero dell'Economia e Commissione che era stato raggiunto. Renzi non lo ha fatto passare e ha messo in difficoltà il ministro mediatore.
Tra i segnali di rassegnazione osservati dagli addetti al settore, il fatto che questa volta il ministro dell'Economia non ha nemmeno rilasciato la consueta intervista per frenare gli entusiasmi del premier. Non c'erano spazi.
La decisione di Renzi di tirare dritto e non intervenire nemmeno su quegli «zero virgola» di disavanzo che accontenterebbero l'Europa, a Bruxelles vengono letti un gioco tutto elettorale del premier italiano che ora pensa solo al referendum. Ma il compito di ricucire resta a Padoan, anche se non condivide la sua linea. Starà a lui, dopo il referendum, fare in modo che gli strascichi di quelle scelte non si facciano sentire troppo.
Negli ultimi giorni il disagio di Padoan è aumentato e ha raggiunto il culmine con l'annuncio del veto sul bilancio programmatico dell'Unione europea.
L'idea che prevale al ministero dell'Economia è che l'Italia, con la linea Renzi, rischi di isolarsi e apparire debole, visto che nessuno ha seguito i rappresentanti di Roma sull'astensione sul bilancio 2017 e nessuno seguirà sul veto. Si creeranno solo altri cocci, che spetterà al ministro dell'Economia rimettere insieme. Chiunque esso sia.
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