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Un Paese di smemorati

Deleghiamo agli smartphone tutto ciò che vogliamo ricordare. E a farne le spese è il nostro cervello che si impigrisce e perde capacità mnemonica

Un Paese di smemorati

Stiamo tutti perdendo la memoria, la capacità di ricordare, di calcolare, di orientarci e di richiamare quello che credevamo di aver fissato in mente. Non alleniamo quotidianamente la nostra plasticità cerebrale, che è sottoutilizzata e tende ad atrofizzarsi come tutte le funzioni encefaliche che non vengono stimolate spesso.

È stata registrata una nuova sindrome, chiamata "Amnesia Digitale", un vero e proprio collasso della memoria remota, dovuto al fatto che tutto quello che dovremmo ricordare oggi viene trasferito dal nostro cervello ai nostri smartphone. Un fenomeno allarmante, causato dalla eccessiva inclinazione a delegare o depositare nella tecnologia il nostro completo bagaglio mnemonico, il quale meno si usa e più si rovina.

Stiamo in pratica perdendo lentamente le nostre capacità mnemoniche, e tutto quello che fino a due decenni fa eravamo in grado di fare alla perfezione. I numeri di telefono di familiari ed amici, le date di compleanni e ricorrenze: oggi non siamo più capaci di richiamarli in mente, e la complessa rete di interazione dei miliardi di neuroni cerebrali, che da sempre agisce in maniera veloce e immediata, sta rallentando, o peggio si sta atrofizzando, con conseguenze pericolose. La tecnologia ci permette di avere tutto a portata di mano, ed oggi la nostra memoria la conserviamo non più nel cervello ma in tasca, custodita nelle reti digitali dei nostri smartphone. Il che facilita la vita, ma impigrisce anche il meccanismo del richiamo mnemonico, il quale, se inizia in età giovanile, potrebbe non essere più recuperato.

Uno studio che ha coinvolto 10mila bambini americani nati nel 2000, e seguiti fino all'età di 20anni, tutti appartenenti all'era digitale, ha denunciato un allarmante quadro neurologico riscontrato alle Tac del cranio, ove appare un evidente assottigliamento corticale addirittura simile a quello fisiologico della terza età. Un fenomeno attribuito all'uso compulsivo degli smartphone fin dall'infanzia e paragonato a quello patologico che compare nelle malattie degenerative come il Parkinson e l' Alzheimer. L' abitudine ormai consolidata di fotografare tutto e di affidare ai cellulari tutto quello che pensiamo sia faticoso memorizzare, non aumenta lo sviluppo dei processi mentali e mnemonici e il cervello progressivamente si impigrisce, si mette a riposo, riducendo l'infinita mappa cognitiva come succede di norma nell'età senile.

La rivista Nature ha pubblicato un articolo sull'"effetto Google", per cui le persone contano sul fatto che tutte le informazioni siano conservate e salvate in rete, una memoria celestiale ed infinita che può essere richiamata e visionata con un semplice clic. Tutti noi effettuiamo ricerche su Google per reperire in tempi brevissimi le informazioni: è facile, immediato e conveniente, ma ha un prezzo, perché l'uso prolungato addormenta i nostri processi cognitivi, ostacola il pensiero profondo e i processi cerebrali come la memoria episodica o la flessibilità cognitiva. Il risultato è la riduzione della densità della materia grigia nell'ippocampo, con il rischio di una varietà di sintomi che vanno dalla depressione alle psicopatologie più varie.

I neuroscienziati sono divisi sul ruolo del subappalto della memoria agli smartphone: alcuni pensano che tale abitudine liberi tempo in favore della concentrazione per ricordare altre cose, mentre altri sostengono che si tratti di una vera e propria dipendenza, e che smettere di usare la memoria encefalica avrà effetti negativi sulle performance cognitive e sull'attenzione, soprattutto nel contesto scolastico. Un circolo vizioso in cui non si potrà più fare a meno dei dispositivi per ricordare. La più penalizzata è l'"attenzione sostenuta", lo stato mentale che permette all'uomo di essere completamente concentrato su quello che si sta facendo. Essa viene completamente destrutturata, incrementando la disattenzione e tale potere distraente crea spesso situazioni di pericoli.

Leggere le informazioni sui social media favorisce inoltre una memorizzazione superficiale, perché la lettura online senza una reale elaborazione cognitiva porta ad una conoscenza frammentaria e presto dimenticata, a differenza della lettura su carta: un atto che migliora da sempre la memorizzazione e stimola l'attenzione, necessaria a ricordare, come ben sappiamo quando dimentichiamo dove abbiamo messo le chiavi o se abbiamo chiuso la porta. Non coinvolgere i processi mentali creativi, organizzativi, immaginativi e attentivi incentiva la pigrizia e soprattutto il decadimento mentale, che ad oggi non può essere rallentato da alcun farmaco.

Uno studio della Università Irvine della California ha dimostrato che il tempo medio di attenzione su un'attività, prima di essere interrotti da una notifica che arriva sullo smartphone, è passato dai 2,5 minuti del 2004, a soli 47 secondi nel 2013, fino ad una preoccupante soglia di 10 secondi del 2024, a conferma di come le capacità di restare concentrati diminuiscano sempre di più. È anche vero che, certificato da uno studio dell'Università tedesca di Heidelberg, allontanarsi dallo smartphone per 72 ore, circa 3 giorni, comporta una immediata riattivazione cerebrale nelle aree legate alla ricompensa e al controllo degli impulsi, ma al contempo crea uno stato di ansia da separazione e da disconnessione. Il che dimostra come ormai i nostri smartphone siano diventati una protesi digitale del nostro corpo, senza la quale ci sentiamo perduti. Chi esce di casa senza prendere il cellulare, torna di corsa a recuperarlo, mentre ogni anno almeno cinque bambini muoiono dimenticati in auto da genitori distratti, che però hanno ricordato il telefonino.

Sebbene lo smartphone sia senza dubbi un valido aiuto, il primo passo per costruire un equilibrio tra il digitale e la nostra capacità di pensare, di concentrarci e di riflettere in

modo profondo, per non deteriorare le nostre funzioni cognitive e la salute mentale, spetta soltanto a noi: per non veder scomparire la nostra sostanza grigia cerebrale e per non perdere definitivamente la nostra memoria.

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