Pagare gli stipendi prima delle tasse non è reato

La sentenza salva le aziende in crisi. I commercialisti: «La burocrazia fiscale costa 60 miliardi»

Pagare gli stipendi prima delle tasse non è reato

Roma Pagare gli stipendi dei dipendenti anziché tasse e contributi previdenziali non comporta la commissione di un reato se l'azienda è in crisi di liquidità. È quanto ha stabilito la Corte di Cassazione accogliendo il ricorso di un'imprenditrice bresciana che aveva omessi il versamento di oltre 870mila euro tra imposte e contributi per non far mancare il salario agli oltre 200 dipendenti.

Che cosa ha stabilito, in buona sostanza, la Suprema Corte? Che la crisi economica (il fatto risale al 2010) può essere considerata una «causa di forza maggiore» se il contribuente-imprenditore si trova dinanzi alla scelta tra onorare gli impegni con i lavoratori e quelli con il Fisco. Lo stato di necessità, il diritto alla retribuzione dei dipendenti fanno sì che non possa configurarsi l'elemento del dolo, cioè la volontà deliberata di evadere il Fisco. L'esser consapevoli di stare commettendo un reato, infatti, non può essere separato dall'intenzione di commetterlo e l'imprenditrice, se avesse avuto liquidità sufficiente, non avrebbe certo evaso le ritenute.

La sentenza è destinata a fare scuola in quanto i pronunciamenti della Cassazione in materia non hanno sempre seguito una medesima linea interpretativa, dando ragione talvolta ai tribunali locali tal altra alle difese. In questo caso sembra essere stabilita la netta priorità della corresponsione degli stipendi (anche come elemento di continuità aziendale) rispetto alle pretese delle Entrate.

L'esosità del Fisco è stata denunciata ieri nel corso degli Stati generali dei commercialisti che hanno presentato un manifesto con 12 proposte alla politica in vista delle elezioni. In particolare il presidente del consiglio nazionale, Massimo Miani, ha rimarcato che il costo degli adempimenti fiscali di professionisti ed imprese (circa 6 milioni di soggetti) è salito da 58,1 a 60,4 miliardi di euro nel periodo 2015-2017, passando da 9.577 a 10.091 euro a singola partita Iva. Un peso enorme sulle spalle di lavoratori autonomi ed aziende, ha denunciato Miani puntando il dito contro misure quali split payment, stretta alle compensazioni fiscali e obbligo di fattura elettronica.

La richiesta di una maggiore semplificazione sembra aprire la strada per la flat tax.

«La nostra proposta è una rivoluzione per il Paese», ha detto Renato Brunetta (Fi), ospite delle assise, aggiungendo che «per attuare questo progetto avremo bisogno dei professionisti». Enrico Zanetti (Nci) ha sottolineato la necessità di moderare i controlli delle Entrate verso i contribuenti onesti che commettono piccole irregolarità.

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