Un Ferragosto di certo un po' diverso dal solito, almeno per la politica. Che quest'estate - dopo il via libera della Cassazione di qualche giorno fa - è tutta concentrata sul referendum costituzionale che si terrà con ogni probabilità a fine novembre. Non che le urne siano dietro l'angolo, certo, ma è chiaro che il via libera della campagna referendaria ha di fatto rimesso in moto la politica. Il referendum, infatti, sarà una sorta di spartiacque della legislatura e dal suo risultato dipenderanno le sorti del governo e, forse, anche dello stesso Parlamento. Una vittoria del No, infatti, costringerebbe Matteo Renzi a salire al Quirinale e rimetterebbe il mandato. E a quel punto ogni scenario è possibile. Di qui l'agitazione di tutti i partiti, alcuni dei quali - da Forza Italia alla Lega, passando per i Cinque stelle - sono anche alle prese con imponenti scosse di assestamento al loro interno.
PARTITO COMPATTO SUL «NO» E IL RUOLO DI PARISI
È il movimentismo di Stefano Parisi a sparigliare i giochi e ad agitare le acque dentro Forza Italia. L'uomo incaricato da Berlusconi di rilanciare gli azzurri gioca già da leader, ma in tanti dentro il partito si chiedono quali siano i confini e le indicazioni del mandato che ha ricevuto dall'ex Cavaliere. Le attenzioni - e le preoccupazioni - riguardano soprattutto il rinnovamento: la vecchia guardia è destinata in toto alla rottamazione o c'è qualche nome di big da salvare? E, in quest'ultimo caso, chi sarebbero i «promossi», secondo quali criteri? I dubbi che scuotono il partito riguardano anche la squadra, il programma e gli alleati del nuovo leader in pectore. Stanti i dubbi su chi siano i nomi a cui pensa Parisi quando parla di aprire alla «società civile», c'è un nodo tra gli alleati «naturali», ed è la scelta tra Lega e Fdi da una parte e Ncd dall'altra: difficile immaginarli entrambi in un centrodestra unito, visti i veti incrociati posti l'uno nei confronti dell'altro da Salvini e Alfano. L'altro dilemma è incentrato sul tema del referendum costituzionale. Tutto il partito, Parisi in testa, è schierato per il «No». Tutti gli azzurri, nel caso in cui Matteo Renzi «perda» il referendum, sono pronti a chiedergli di tornarsene a casa. Meno certezze nel caso in cui, invece di tornare al voto, venisse varato un nuovo governo tecnico, appoggiato da Pd e Forza Italia. Perché l'ipotesi di un «inciucio» - che cambierebbe le carte anche in chiave alleanze - spacca il partito e divide falchi e colombe.
IL PD IN MILLE PEZZI: SI SPACCA PURE LA FRONDA
La rissa interna al Pd non va in ferie. Anche se Matteo Renzi si sta concedendo qualche giorno di riposo in famiglia, i suoi oppositori interni organizzano i turni pure dalla villeggiatura per alimentare il consueto tormentone anti-premier. La novità, però, è che la minoranza bersanian-dalemiana si sta platealmente dividendo, in vista del futuro congresso del Pd. Il «La» lo ha dato nei giorni scorsi Gianni Cuperlo, lamentando la carenza di leadership della sinistra anti-renziana, e tirando in ballo persino la giornalista tv Bianca Berlinguer come possibile «papa straniero» da candidare in contrapposizione al premier. Una boutade, che serviva però a dare un colpo mortale alla candidatura di Roberto Speranza, già pupillo bersaniano e ora aspirante segretario. La reazione dei sostenitori di Speranza è stata assai seccata: «Non c'è alcun bisogno di papi stranieri, i leader li abbiamo», protesta Davide Zoggia. Poi però da quell'area è sceso in campo un nuovo protagonista, uscito immacolato da una vicenda giudiziaria che gli è costata le dimissioni da presidente dell'Emilia Romagna. Vasco Errani, sperano i renziani, può diventare il vero interlocutore della maggioranza nella sinistra del Pd, e può tirare il freno di una minoranza che, in odio a Renzi, sembra lavorare per l'implosione dell'intero partito. Di Errani già si parla come possibile candidato alla segreteria ma anche come ministro nel governo Renzi. Di certo, seguire le sue mosse alla ripresa autunnale sarà rivelatore per il futuro del Pd.
RAGGI ACCERCHIATA A ROMA DI BATTISTA STUDIA DA LEADER
Afosa è l'estate dei Cinque Stelle. Senza più guru e con Beppe Grillo defilato (torna o non torna in tv?) si fa tutto più complicato. E c'è di che sudare. Alessandro Di Battista, in sella allo scooter della Costituzione coast-to-coast, si è visto negare la piazza principale di Jesolo, quella dello struscio, quella che domani sarebbe stata gremita di vacanzieri. Il comizio sul No al referendum il «Diba» lo farà, ma fuori dalla Ztl. In spiaggia. Naturalmente il web è insorto e il sindaco Zoggia è stato ricoperto di insulti. Non va meglio per la sindaca Virginia Raggi alle prese con l'invincibile inferno capitolino. Da risolvere l'intricata situazione dei trasporti. I sindacati hanno già fatto spallucce sui 18 milioni di euro racimolati in extremis per la revisione dei vagoni della metro A. Non sarebbero sufficienti per scongiurare i primi due scioperi di settembre. E poi c'è Salvatore Romeo, l'attivista grillino già funzionario del Comune, ora capo della segreteria della sindaca. Prima della giunta di martedì era un semplice funzionario; terminata la riunione è diventato «dirigente con un trattamento economico da terza fascia». E così passa da 40mila euro lordi all'anno a 120mila. Chi ricopriva quel posto con Marino (Silvia Decina) aveva un compenso di 18mila euro. Per Romeo lo stipendio pubblico è, dunque, triplicato: una mossa che ha innervosito i vertici poco allineati del movimento e l'opposizione in giunta. La vispa Virginia sembra accerchiata.
IL PROGETTO DI SALVINI NON CONVINCE I BIG PADANI
Ferragosto a Ponte di Legno per Matteo Salvini, il leader della rinascita del Carroccio che vive però la sua estate più difficile proprio alla vigilia del congresso, che da statuto dovrebbe tenersi entro dicembre. Colpa del bagno di sangue delle amministrative, con la Lega populista di Salvini che a Milano ha preso la metà dei voti di Forza Italia (e lo stesso Matteo s'è fermato a due terzi delle preferenze dell'azzurra Maria Stella Gelmini), mentre l'ambizioso progetto di esportare al centro-sud il modello leghista è affondato con il misero risultato romano (2,7%) di Noi con Salvini. In queste condizioni, e con il governatore lombardo Roberto Maroni che guarda con interesse a una Lega che dialoghi con il centro - e dunque al progetto di Stefano Parisi, che invece non scalda il cuore di Salvini - la prospettiva di rimettersi in gioco al congresso non entusiasma affatto il giovane leader. Che per ora si consola a Ponte di Legno (in programma un comizio al palasport oggi alle 21), e sposta Pontida dall'estate a metà settembre, puntando tutto sul vero tema unitario - della Lega e del centrodestra, esclusa Ncd - ovvero il «no» al referendum costituzionale. Un punto sul quale Salvini, che due giorni fa ha incontrato Umberto Bossi, ha incassato l'adesione del Senatùr, che pure non lo ama. Proprio la campagna referendaria è l'argomento più forte per rimandare - statuto permettendo, l'indesiderato congresso, con la prospettiva di elezioni in caso di una vittoria del «no».
ALFANO PIEGATO A RENZI I SUOI VOGLIONO MOLLARLO
L'eterno dilemma dei centristi non solo non si scioglie ma si acuisce con la discesa in campo di Parisi. Il partitino di Alfano resta una polveriera e l'esito del referendum non potrà far altro che provocare ulteriori scossoni. Brucia ancora la fuoriuscita dell'ex capogruppo al Senato Schifani, probabilmente seguito da altri centristi. Ncd ha contribuito a scrivere le riforme costituzionali e quindi il partito è schierato per il «sì» al referendum. Ma dopo si aprirà tutta un'altra partita. Molti centristi scalpitano per salire sul vascello che si appresta a far salpare Parisi. «Ci chiamiamo Nuovo centrodestra e la nostra collocazione naturale è lì», sostengono i «destri» di Ncd. Peccato che i «governativi» non ne vogliano sapere di mollare Renzi e il Pd. Si preannunciano strappi dolorosi con Alfano che, fino ad ora, ha messo la testa sotto la sabbia provocando l'ira dei due schieramenti interni. Il ministro dell'Interno un pensierino di mollare un premier in picchiata nei sondaggi lo fa eccome e lancia messaggi al miele a Parisi. Il problema è che un'alleanza con Forza Italia e Fratelli d'Italia è impensabile se nel gruppo ci sarà anche la Lega.
Salvini e Alfano sono come l'acqua e l'olio: impossibili da unire. Così i veti incrociati rischiano di far rimanere Ncd nel mezzo, stritolato tra due o tre tenaglie: Pd, moderati e Movimento 5 Stelle. Con un rischio ulteriore: se l'Italicum non cambia Ncd rischia di scomparire.
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