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Pandora Papers, 9 Paesi indagano e Mosca attacca

Pioggia di smentite da politici e vip. Russia contro gli Stati Uniti: "Le maggiori lacune sono loro"

Pandora Papers, 9 Paesi indagano e Mosca attacca

Il giorno dopo lo scoperchiamento dei Pandora Papers è un susseguirsi di smentite, precisazioni, contrattacchi da parte di politici e vip coinvolti. Almeno nove Paesi hanno annunciato indagini sulle attività finanziarie di istituzioni e cittadini citati nell'inchiesta giornalistica coordinata dall'International Consortium of Investigative Journalists (IciJ) e il Parlamento europeo ha deciso di aggiungere la discussione sui Papers nell'agenda dei lavori di domani, per la settimana di plenaria a Strasburgo. L'indagine ha svelato i segreti finanziari di 29mila persone, tra cui 35 capi di Stato e di governo presenti e passati, sparsi in oltre 90 nazioni e coperti da 95mila società off-shore in vari paradisi fiscali, da Singapore a Dubai, da Cipro a Panama.

La smentita più pesante, accompagnata da un contrattacco in stile Guerra Fredda, arriva dal portavoce del Cremlino, dopo che molti stretti collaboratori del presidente Vladimir Putin, che non compare mai direttamente, sono finiti nella lista dei detentori di patrimoni nascosti, compresa Svetlana Krivonogikh, imprenditrice milionaria con cui il leader russo avrebbe avuto una relazione e una figlia non dichiarata oggi diciottenne. La donna sarebbe proprietaria di un appartamento da 4 milioni di dollari, acquistato nel 2003 a Montecarlo, proprio all'indomani della nascita della figlia. «Affermazioni infondate», ribatte Mosca, secondo cui i russi «sono rappresentati in modo sproporzionato» nei Pandora Papers, dove il 14% delle circa 27mila società è riconducibile a cittadini russi, con 16 oligarchi legati a compagnie offshore. «L'unica cosa che attira davvero l'attenzione è la dimostrazione di quale Stato ha le maggiori lacune: gli Stati Uniti», sferza il Cremlino.

Il copione di negazioni e smentite si ripete. Chi ha più da perdere è il premier ceco Andrej Babi, che fra tre giorni, l'8 e il 9 ottobre, si gioca la rielezione. Eppure la notizia di aver utilizzato 15 milioni di euro su conti offshore per acquistare proprietà immobiliari in Francia nel 2009, seguita dalla decisione dell'anticrimine ceca di aprire un'inchiesta, non dovrebbe incidere troppo. Lui spiega di «non aver mai commesso nulla di illegale o sbagliato» e sostiene di venire screditato in vista del voto. A negare un coinvolgimento nell'occultamento dei beni di un ex senatore russo (Leonid Lebedev) è il presidente cipriota Nikos Anastasiadis: «Non ne sono a conoscenza e lo ritengo impossibile».

Repliche piovono da ogni angolo del pianeta, dal re di Giordania Abdallah II all'ex sindaco di Gerusalemme Nir Barkat fino a Londra. Dopo l'ex premier Tony Blair, che avrebbe risparmiato migliaia di euro in imposte per l'acquisto di un ufficio a Londra, l'attuale capo di governo Boris Johnson finisce sotto pressione per le donazioni al partito conservatore di Viktor Fedotov, tycoon russo del petrolio, ex comproprietario di una società al centro di un sistema corruttivo, e Mohamed Amersi, uomo d'affari dietro una tangente per la figlia dell'allora presidente dell'Uzbekistan.

A rallegrarsi dell'inchiesta è la Commissione europea, «entusiasta che la lotta all'evasione fiscale venga combattuta a tutti i

livelli». Il commissario all'Economia Paolo Gentiloni promette «una proposta contro l'abuso delle società di comodo». Anche dalla Casa Bianca l'impegno: «L'Agenda Build Back Better di Biden reprimerà i regimi fiscali iniqui».

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