Accadde, forse, quattro anni dopo la morte di Cristo. Stefano fu portato fuori Gerusalemme e lapidato: un colpo di mano, senza processo. Un fatto che provocò secondo Marta Sordi, studiosa di quell'epoca, l'ira di Roma e la cacciata dei sommi sacerdoti Anna e Caifa. Sono passati duemila anni, ma il mondo non è cambiato e Francesco torna su quell'episodio, collocato dalla liturgia non a caso subito dopo il Natale, per sottolineare che il cristianesimo non si è affatto integrato con la mentalità dominante. È e sarà sempre una spina per chi è al potere e per questo le persecuzioni continuano. Qualcuno criticava il Papa che sembrava non accorgersi delle discriminazioni e dei massacri, dalla Cina alla Nigeria, ma questa volta Francesco va giù pesante: «Oggi preghiamo per quanti soffrono persecuzioni per il nome di Gesù. Sono tanti purtroppo. Sono più che nei primi tempi della Chiesa».
Una frase scioccante che la dice lunga sulla percezione che Francesco ha dell'ordine mondiale: la Chiesa è sempre sotto attacco e paga un prezzo altissimo. Nerone, Decio e Diocleziano erano meno sanguinari dei tiranni e dei despoti di oggi. Un paragone che è come un precipizio negli abissi imperscrutabili del male, ma Francesco non si limita alla denuncia, pure importantissima. Aggiunge un dettaglio decisivo: proprio grazie a uomini eroici come Stefano il corso della storia può cambiare.
Fra i responsabili di quel truce assassinio, il primo martirio nel nome di Cristo, c'è Saulo e Stefano muore perdonando anche lui: «Poco dopo - annota Francesco parlando all'Angelus in streaming - Saulo si converte, riceve la luce di Gesù e diventa Paolo, il più grande missionario della storia».
Una vicenda sconvolgente, difficile da accettare e che fa a pezzi ogni visione moralistica. Ma c'è di più: «Paolo nasce proprio dalla grazia di Dio, ma attraverso il perdono di Stefano, la testimonianza di Stefano». Il sacrificio del giovane diacono segna l'ambiente e capovolge gli avvenimenti: Paolo diventa un pilastro del cristianesimo nascente.
Si può pensare, in qualche modo per analogia, che le prove sopportate nell'anonimato da tanti uomini e donne in Russia, in Polonia, in Albania abbiano dato un contributo decisivo alla caduta del Comunismo che pareva invincibile e si è afflosciato su se stesso.
Il Papa non fa nomi, non cita la repressione in Cina e nemmeno i brutali omicidi ad opera degli estremisti islamici, ma nei suoi occhi si riflette la sofferenza per le tante, troppe situazioni di violenza e brutalità.
«Dio - è la conclusione che fulmina gli scettici - guida la storia attraverso il coraggio umile di chi prega, ama, perdona».
Sono i santi della porta accanto.
Nel giorno di Stefano, è come se Francesco li carezzasse uno a uno. Sono le radici dell'albero cristiano. Radici che l'ideologia contemporanea cerca di distruggere con più furia dei tempi delle catacombe. Anche se, spesso, nemmeno ce ne accorgiamo.
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