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Parigi, la cellula dietro Alì. E il pakistano confessa: "Volevo bruciare Charlie"

Il 18enne: "Infuriato per le vignette". Il piano per dare fuoco al palazzo. I fermi salgono a 9

Parigi, la cellula dietro Alì. E il pakistano confessa: "Volevo bruciare Charlie"

L'inchiesta avanza e l'ipotesi che l'autore dell'assalto di venerdì sia un lupo solitario s'allontana sempre di più: salite a 9 le persone in stato di fermo, il pallottoliere degli inquirenti punta a smantellare quella che ha tutti i connotati di una cellula. Molto diversa da altre individuate negli anni. Il ministro dell'Interno francese ha già definito l'assalto all'ex sede di Charlie Hebdo un «chiaro atto di terrorismo islamista». Ma l'attentato all'arma bianca accende pure un faro sull'esercito di ragazzini invisibili: che in Francia arrivano da immigrati irregolari, come il pachistano Alì Hassan, esponendosi al mercato della criminalità o peggio del terrore una volta persi gli aiuti di Stato.

Il 18enne, bloccato poco dopo l'attentato, ha confessato: «Non sopportava la ripubblicazione delle caricature su Maometto», filtra dagli inquirenti. Era già stato fermato un mese fa per porto d'armi abusivo. Un grosso cacciavite, precisa il ministro Gérald Darmanin, lo aveva a bordo di un bus. Non è nell'elenco dei radicalizzati dei Servizi segreti. Ma a quanto sembra tra i sedotti e abbandonati dal sistema di protezione sociale francese.

Prima di colpire aveva fatto un sopralluogo, un andirivieni ripreso dalle telecamere. E oltre alla mannaia con cui ha ferito due giornalisti dell'agenzia Premières Lignes, aveva del liquido infiammabile per dar fuoco al palazzo. «Pensava di essere da Charlie e che le persone che stava attaccando lavoravano per il giornale satirico. Dice di essersi informato». E di essersi «arrabbiato» dopo la ripubblicazione delle vignette su Maometto in occasione del processo per le uccisioni perpetrate dai fratelli Kouachi, cinque anni fa, proprio in quella sede.

Dunque un gesto pensato, quello di Alì Hassan. Preparato. Sono passate infatti tre settimane dalla ripubblicazione delle vignette per sensibilizzare la Francia sulla libertà d'espressione. Mentre Charlie, che lavora oggi da una sede segreta, e vari testimoni del processo, venivano minacciati da al Qaida. Ieri, tra le altre persone finite in custodia della polizia dopo blitz in diversi indirizzi a nord di Parigi, anche il fratello minore del pachistano nato a Islamabad. Sugli altri si sa poco. Una rete del terrore tutta da verificare. Rilasciato invece l'algerino 33enne arrestato subito dopo i fatti: «Volevo essere un eroe e mi sono ritrovato dietro le sbarre», dice Youssuf a «Le Monde», raccontando come abbia tentato di fermare il 18enne notato in metro col volto insanguinato.

Due i presunti rifugi del ragazzino che aveva beneficiato degli aiuti finché minorenne. Alla maggiore età, era alla mercé di connazionali come centinaia di adolescenti non accompagnati. Viveva alle porte di Parigi: una casa-ostello a Cergy (Val-d'Oise), poi un appartamento a Pantin (Seine-Saint Denis), ultimo domicilio di fortuna. Luc Hermann, co-direttore di Premières Lignes, presente al momento dell'attacco di venerdì, torna però a denunciare la mancata sorveglianza del palazzo, «un edificio simbolo nuovamente colpito». «C'era sangue ovunque, era straziante». Niente polizia nello slargo rinominato piazza della libertà d'espressione. Solo una targa commemorativa in omaggio alle vittime assassinate in quel tragico 7 gennaio. «Capisco che non possa esserci una pattuglia 24 ore su 24 davanti a tutti gli edifici religiosi o simbolici, ma dopo un attentato di tale impatto globale viene da chiedersi se sia concepibile la totale mancanza di sicurezza a fronte di un processo che si tiene in un aula-bunker». Sarà ricevuto dal governo.

Accusata pure dal ministro dell'Interno per aver «sottovalutato» il pericolo, la polizia di Parigi spiega che «il vecchio edificio di Charlie non era soggetto a minacce, le aziende oggi ospitate non ne hanno segnalata alcuna nei confronti del personale». I due dipendenti di Premières Lignes feriti dalla mannaia impugnata dal 18enne, un uomo e una donna, sono in condizioni serie. Colpita al volto, la giornalista ha subìto un intervento di ricostruzione facciale. E venerdì sera un altro machete ha ferito alla carotide un uomo di 27 anni davanti al commissariato di Sarcelles (sempre in Val-d'Oise). Non è chiaro se sia un regolamento di conti o un gesto di emulazione.

O, peggio, un'azione collegata a quella di Alì.

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