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Parigi e Berlino a carbone contro il caro-bollette

Dietrofront in Francia dopo i lavori sulle centrali nucleari. Anche la Germania torna all'"antico"

Parigi e Berlino a carbone contro il caro-bollette

È sporco, brutto e cattivo, ma non ha nessuna intenzione di farsi mandare in pensione. Alla fine la Francia di Emmanuel Macron ha dovuto seguire l'esempio della Cina di Xi Jinping e annunciare, da qui a fine febbraio, un limitato ritorno al tanto deprecato carbone per evitare imprevedibili e politicamente disastrosi black out elettrici. Una strada già imboccata dalla Germania, dove il combustibile fossile ha garantito tra luglio e settembre, il 31,9% del fabbisogno energetico. Un forte incremento a livello tendenziale sia rispetto al 26,4% nello stesso periodo di un anno fa, sia rispetto al secondo trimestre del 2021.

Un dietro front ecologico che diventa paradossale se pensiamo all'entusiasmo con cui il presidente francese dava per certa la chiusura di tutte le centrali a carbone entro la fine dell'anno. O all'enfasi con cui la Commissione Europea dava per scontata, fino a pochi mesi fa, l'irreversibilità di una transizione ecologica garantita da piani finanziari per 50 e passa miliardi. Invece gli aumenti nei consumi imposti dall'arretramento della pandemia, le tensioni sull'Ucraina e i conseguenti dubbi sugli approvvigionamenti russi hanno trasformato in sogni le certezze «verdi».

Ma il dietro-front della Francia sembrerebbe allargare i dubbi anche sulla recente rettifica di un'Europa costretta, in mancanza di fonti alternative, a riabilitare il nucleare inserendolo tra le energie «verdi». Anche perché - a differenza di Italia e Germania - la Francia non ha mai bandito il nucleare e si garantisce il 69 per cento del fabbisogno energetico grazie all'attività di 56 reattori nucleari.

Ma allora a cosa si deve il ritorno al carbone annunciato ieri dalla Gazzetta Ufficiale di Parigi? Sembrerà un paradosso, o un cinico gioco del destino, ma proprio nel mezzo di un inverno avaro di gas e foriero di aumenti senza precedenti nel costo dell'energia, Parigi fa i conti con gli imprevisti lavori di controllo e ripristino di cinque reattori nucleari. I tecnici di Edf (Électricité de France), il gigante a capitale pubblico da cui dipende la produzione elettrica d'Oltralpe, sono in allarme per i problemi di corrosione riscontrati nei cinque reattori incriminati e hanno annunciato tempi di chiusura imprevedibilmente lunghi. Un reattore della centrale di Chooz nelle Ardenne, al momento il più problematico, non riaprirà prima di dicembre. Tempi analoghi sono stati annunciati anche per uno dei due reattori della centrale di Civaux, nell'ovest della Francia, mentre le altre tre centrali sottoposte a revisione dovrebbero tornare a produrre entro fine agosto.

A questo punto, vista anche la scarsità di gas, il governo francese deve tornare ad affidarsi a quelle centrali a carbone di cui Macron aveva annunciato la chiusura entro fine anno. Stando al decreto pubblicato ieri le centrali potranno superare il tetto di 0,7 chilotonnellate di biossido di carbonio corrispondenti a circa 700 ore di funzionamento annuale. Da ieri fino a fine febbraio il tetto produttivo sale a una chilotonnellata per coprire il picco di consumi invernale.

«Questo - spiega il governo - corrisponde a circa 1.000 ore di funzionamento durante questo periodo». La misura stando al ministero della transizione ecologica «è strettamente limitata ai mesi di gennaio e febbraio 2022» e «non cambierà il calendario per la chiusura delle centrali a carbone».

Ma per il nero, cattivo e nocivo carbone, demonizzato dal nuovo corso ecologista dopo averci garantito secoli di energia a basso costo, è una rivincita non da poco.

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