Il Parlamento ha paura del voto. Ora per Draghi il Colle è in salita

Il premier sta sondando i partiti. Ma i leader temono di non controllare i gruppi parlamentari. In ambasce M5s e Lega

Il Parlamento ha paura del voto. Ora per Draghi il Colle è in salita

In via rigorosamente informale, la ricognizione di Mario Draghi è iniziata da tempo. Ben prima di quando, ormai oltre un mese fa, Giancarlo Giorgetti ha buttato lì l'ipotesi di un trasloco del premier da Palazzo Chigi al Quirinale. Un'uscita che poteva sembrare quasi casuale, ma che invece - parafrasando Enzo Jannacci - serviva «a vede l'effetto che fa». D'altra parte, che Giorgetti sia uno dei due-tre ministri più ascoltati dall'ex numero uno della Bce non è un segreto per nessuno. I carotaggi sono continuati e oggi - non solo a Palazzo Chigi ma anche negli uffici di diretta collaborazione dei ministeri che contano, a partire dal Mef - sono in molti a dire che «il governo si muove con orizzonte gennaio». Quando, nella terza settimana del mese, il Parlamento si riunirà in seduta comune per votare il successore di Sergio Mattarella. Ancora in queste ore, infatti, Draghi continua a sondare la possibilità di giocarsi la partita del Quirinale. L'ultima volta qualche giorno fa, nel lungo faccia a faccia con Giorgia Meloni. Che gli ha assicurato il sostegno di Fratelli d'Italia, trovando un premier molto scettico sul fatto che possa ottenere anche l'appoggio degli altri due partiti della coalizione di centrodestra: Lega e Forza Italia.

Al di là delle strategie studiate a tavolino, però, il tema è quanto davvero i leader controllino i loro gruppi parlamentari. Non solo perché l'elezione del capo dello Stato è da sempre un passaggio assolutamente imprevedibile, ma perché questa volta c'è un elemento fondamentale che rischia di far impazzire ancor di più la maionese: la riforma del taglio dei parlamentari, che di fatto rende l'ipotesi del voto anticipato indigeribile per i quattro quinti del Parlamento. E - non è un segreto - se Draghi andasse al Quirinale si aprirebbe la riffa del nuovo governo, con - a cascata - un nuovo premier e molto probabilmente una nuova maggioranza, visto che è altamente improbabile che la Lega di Matteo Salvini non ne approfitti per sganciarsi. Non è un caso che i tifosi di Draghi al Colle ipotizzino un patto tra partiti per proseguire la legislatura. Patto che, però, sarebbe comunque scritto sull'acqua non garantendo davvero certezze a nessuno. E, si sa, le umane predisposizioni fanno supporre che saranno molti i parlamentari che nel segreto dell'urna preferiranno non rischiare scherzi. Considerazione che certamente avrà fatto lo stesso Draghi. Che ancora non ha deciso se scendere in campo o no («non ci ha detto cosa intende fare», spiega il ministro Renato Brunetta; «cosa farà lo scopriremo solo vivendo», gli fa eco Matteo Renzi), ma è ben consapevole che giocarsi la partita significa mettere comunque in conto il rischio di finire nel tritacarne dei franchi tiratori.

Gli allenatori di questo imprevedibile campionato quirinalizio, infatti, controllano le loro squadre con lo stesso piglio sicuro con cui Mourinho sta gestendo la Roma. Ne sa qualcosa Giuseppe Conte, che non a caso ha dovuto ingranare la retromarcia e seguire i consigli dei suoi vice Riccardo Ricciardi e Michele Gubitosa, preoccupatissimi dalla tenuta dei gruppi parlamentari davanti all'ipotesi Draghi al Colle. Così, l'ex premier ha fatto sapere che l'ex Bce dovrebbe «rimanere a Palazzo Chigi» e «la legislatura continuare». E ieri le chat dei parlamentari M5s hanno finalmente tirato un sospiro di sollievo.

D'altra parte, un sondaggio riservato Ipsos dà il Movimento tra il 15 e il 18%, ennesima conferma che i seggi utili al prossimo giro saranno decimati. Stesso discorso vale per la Lega, con rilevazioni Ipsos e Swg che ipotizzano nelle prossime settimane un tendenziale intorno al 15%. E anche il Pd, seppure con numeri ben diversi, ha in parte lo stesso problema.

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