La campagna elettorale, entrata ufficialmente nel vivo, è monca. Manca la sinistra. Il paradosso da teatro dell'assurdo è presto spiegato: in un periodo nel quale è sempre più serrata la lotta a chi è più puro, post, ex, neo e para comunisti hanno epurato la parola che secondo loro ancora li identifica. La sinistra è urlata nelle piazze semivuote, dettata nei comunicati stampa e ripresa dai lanci d'agenzia, agitata come un distinguo snob nelle battaglie tra correnti e partiti. Ma è sparita, o quasi, dalla prossima scheda elettorale e, a meno di colpi di scena da assalto al Palazzo d'inverno, non sarà presente nei banchi del futuro parlamento.
Ininterrottamente dal 1994 l'elettore di sinistra sapeva dove mettere la croce. Ora, dopo 24 anni, i compagni hanno rinnegato quella parola nata dalla Rivoluzione francese. Il partito di Renzi e Gentiloni è «democratico» dal 2008, dopo la fusione tra gli ex democristiani della Margherita e i post-comunisti dei Democratici di sinistra, già Partito democratico della sinistra. La definizione è stata buttata nel cassetto dei ricordi del Novecento anche da Liberi e uguali, il partito capeggiato da Pietro Grasso, il «ragazzo di sinistra» ipse dixit. Meglio un generico richiamo a libertà e uguaglianza. La fraternità sarebbe stata una scelta troppo ardita, considerate le scazzottate interne al Pd che hanno portato alla genesi della lista di Grasso, D'Alema, Boldrini e Bersani. Nel 2008, almeno, a sinistra del neonato Partito democratico c'era la coalizione «La Sinistra L'Arcobaleno». Cinque anni dopo i dem erano alleati con i vendoliani di Sel (Sinistra ecologia e libertà). In questa tornata il vuoto semantico.
Non manca chi ritiene la parola «moderata». Due esempi su tutti: il Partito comunista di Marco Rizzo e la lista Potere al popolo, messa su da Rifondazione comunista con un accrocchio di centri sociali. Dal lato opposto, archiviato il Msi con la dicitura Destra nazionale, il termine destra non ha mai esercitato un grande fascino, complice l'ostracismo di anni di dittatura culturale della sinistra. Va esclusa «La Destra» di Francesco Storace, nata da una scissione di An ma mai arrivata in Parlamento.
E quindi se l'elettore di sinistra non si fidasse degli slogan, ma vorrebbe votare la sua parte politica con tutti i crismi del simbolo, cosa gli resterebbe? C'è sempre la lista Per una Sinistra rivoluzionaria. La formazione guidata dal trotzkista Marco Ferrando si definisce «anticapitalista», «rivoluzionaria», «comunista», «internazionalista» e perfino «classista».
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