Parte la campagna per il referendum. Gratteri guida il No, Marina icona del Sì

Con l'ultimo voto in Parlamento si apre lo scontro per la consultazione del 2026

Parte la campagna per il referendum. Gratteri guida il No, Marina icona del Sì
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Ultimo voto del Parlamento, poi da domani si aprono ufficialmente le ostilità referendarie sulla riforma della Giustizia. A guidare l'attacco un "Comitato per il No" ufficialmente guidato da autorevoli sconosciuti, poco in grado di appassionare le masse alla battaglia contro la riforma della giustizia voluta dal governo Meloni, ma con in campo in realtà alcuni volti ad alto impatto mediatico: a partire da Nicola Gratteri, procuratore della Repubblica di Napoli e star di programmi tv di successo, che con la sua uscita all'assemblea napoletana dell'Associazione nazionale magistrati si è autoincoronato leader della crociata referendaria. Da mezzogiorno, quando l'aula del Senato approverà la riforma in via definitiva, con la quarta e ultima lettura parlamentare, per il Comitato - che è di fatto una emanazione dell'Anm - parte il conto alla rovescia. Tre mesi di tempo per raccogliere le firme: non serviranno i banchetti nelle piazze, basterà la richiesta di un quinto di una delle Camere (pare che lo stesso centrodestra intenda firmare), poi la parola passerà al presidente della Repubblica che fisserà la data per lo scontro frontale nelle urne. Data prevedibile, tra marzo e aprile.

Ieri la prima giornata del dibattito a Palazzo Madama scivola via come previsto: centrodestra quasi silente, accoccolato sull'ampia maggioranza di cui gode, e che in luglio nella prima votazione si tradusse in 106 voti contro 61 a favore del disegno di riforma che introduce la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri e il sorteggio dei membri del Consiglio superiore della magistratura. Ieri in Senato si iscrivono a parlare solo tre esponenti del centrodestra e ben 54 delle opposizioni, tutti come da copione contrari alla riforma. Ma se l'esito finale dell'iter parlamentare è scontato, il centrodestra si guarda bene dal considerare chiusa la partita. E subito dopo il voto di domani si comincerà a ragionare su come organizzare la controcampagna per difendere la riforma dall'assalto del "partito delle toghe" e dei suoi alleati politici, in uno scenario reso complesso da un dato: non servirà il quorum, il risultato del referendum sarà valido in ogni caso. Quindi per il centrodestra non servirà solo convincere gli italiani della bontà della riforma ma anche portarli alle urne: non a votare pro o contro il governo Meloni, ma per dare il via libera a una svolta liberale attesa da decenni. Il fronte del Sì si muoverà nella campagna referendaria attraverso più voci: un Comitato è stato già costituito dagli avvocati delle Camere penali, un altro è stato annunciato dalla fondazione Einaudi, altri probabilmente se ne aggiungeranno, e numerosi saranno i volti mediatici della campagna in difesa della riforma. Ma è chiaro che anche Marina Berlusconi, con la sua lettera al Giornale di pochi giorni fa, ha fatto sapere di voler fare la sua parte per una giustizia non più dominata dalla commistione tra chi accusa e chi giudica, "una rivoluzione che questo governo ha finalmente avuto il coraggio e la forza di avviare". Ed è una disponibilità di cui i comitati per il Sì non faranno certamente a meno.

Più complicata la situazione sul versante opposto, dove l'Anm ha scelto di non aprire le porte del "Comitato per il No" a politici, sindacalisti e movimentisti vari, per evitare di marchiare politicamente la campagna contro la riforma (e ieri il presidente Cesare Parodi (nella foto) a chi accusa l'associazione di essere diventata un soggetto di opposizione politica risponde "vorrei solo poter discutere serenamente"). Ma i magistrati sanno bene che senza l'appoggio del Pd e della Cgil le chance di vittoria si farebbero esigue.

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