Magistratura

Parte il processo sui veleni di Amara

Il caso della presunta loggia Ungheria: anche la magistratura alla sbarra con l'ex legale Eni

Parte il processo sui veleni di Amara

Bugie e complotti, depistaggi e sentenze pilotate. Oggi alle 12, al terzo piano del Palazzo di Giustizia di Milano, si apre il processo contro l'ex avvocato siciliano di Eni Pietro Amara (nella foto). Ma è anche il primo tassello di una Mani pulite nella magistratura. Perché alla sbarra non ci sono solo le fantasie di Amara, considerato una sorta di regista occulto che si muoveva tra Palazzo e uffici giudiziari, coinvolto con soci e complici in diverse inchieste, da Gela a Messina, dall'Ilva al verminaio dentro la Procura di Siracusa, con la complicità di alcuni magistrati come Salvatore Longo. Ma anche l'accusa al precedente Csm, scosso dalla faida tra gli ex compagni di corrente Piercamillo Davigo e Sebastiano Ardita, scoppiata mentre la credibilità dell'organo di autotutela della magistratura era ampiamente compromessa dalle indagini su Luca Palamara, allora leader Unicost ed ex dominus delle nomine, per le vicende dell'Hotel Champagne, ricostruite nel libro La Gogna di Alessandro Barbano. Con un osservatore attento e amareggiato come il capo dello Stato Sergio Mattarella, informato passo passo dall'allora ex vicepresidente di Palazzo de' Marescialli David Ermini.

Di cosa accusano Amara i pm milanesi Stefano Civardi e Monia Di Marco? Di aver inventato l'esistenza della loggia segreta «Ungheria», per condizionare processi e carriere, promossa al tempo dall'ex procuratore di Caltanissetta Gianni Tinebra (deceduto nel maggio 2017) che a suo dire «si proponeva quale continuazione della sciolta P2». Solo calunnie, dicono i pm e 65 persone tra cui l'ex premier Silvio Berlusconi (ma i familiari non si sono costituiti parte civile), il presidente Eni Giuseppe Zafarana, gli ex vice del Csm Michele Vietti e Giovanni Legnini, gli ex magistrati Livia Pomodoro e Giovanni Canzio, l'ex sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri o il cardinale Piero Parolin.

Ma chi è veramente Amara? Da legale Eni avrebbe orchestrato un depistaggio per intralciare alcune indagini (risultate comunque un flop) contro il Cane a sei zampe, da tempo nel mirino della Procura di Milano. In realtà, con le sue mezze verità avrebbe ingannato i magistrati milanesi e ne avrebbe infangati altri. Come Marco Tremolada, il presidente della settima sezione penale e del collegio che assolse tutti per il caso Eni/Shell-Nigeria. Per il legale siracusano, Tremolada era vicino al colosso energetico: ipotesi che aveva convinto al tempo persino l'allora procuratore di Milano Francesco Greco, tanto da aprire un fascicolo e inoltrarlo a Brescia. «Sono ancora ferito dalle frasi di Amara», dirà il giudice al processo, proprio a Brescia, per rifiuto d'atti di ufficio contro i pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, che anziché ricusare Tremolada, pur di insistere nella loro ipotesi accusatoria dimostratasi inconsistente, non avrebbero depositato atti favorevoli a Eni.

Ma la scarsa credibilità di Amara, certificata dal procuratore capo di Perugia Raffaele Cantone con cui ha collaborato («numerose sue propalazioni sono integralmente o parzialmente non riscontrate») doveva già essere messa in discussione quando a Messina era indagato per reato connesso assieme all'ex pm Longo, e invece - grazie a una fantomatica «doppia prescrizione» di cui il Giornale ha già ampiamente parlato - venne graziato e ripulito con due anni di anticipo, da coimputato a testimone d'accusa. Un danno per l'ex procuratore Giuseppe Toscano, accusato da Amara (ma non prescritto assieme al presunto complice) di aver lavorato con Longo per sottrarre alcune inchieste al pm Marco Bisogni (oggi al Csm), che reclama 100mila euro proprio da Toscano. Perché Messina ha fatto confusione sulla prescrizione di Amara, lasciandone intatta la credibilità? Reggio Calabria con il gip Giovanna Sergi ammette l'errore, la Procura calabrese non indaga sulla negligenza e Toscano oggi si rivolge a Milano perché faccia luce sulla strana vicenda.

Ma se è vero che è il capoluogo lombardo a raccogliere il frutto Amara, è lecito chiedersi da quale albero sia caduto. Da Siracusa o da Messina? Da Catania o magari da Roma? Perché, a pensar male, è vero che Amara è funzionale alle tesi anti Eni di De Pasquale, ma è altrettanto vero che il primo nome che Amara fa al pm Paolo Storari, autore della rivelazione dei verbali (ufficialmente per autotutelarsi contro l'inerzia di Greco), è quello di Ardita. Con i verbali in mano e una «narrazione ingannevole» Davigo «trasforma atti riservati nel segreto di Pulcinella», dice il Pg di Brescia. Che qualche giorno fa ha chiesto di confermarne la condanna in primo grado a Davigo per aver rivelato illegalmente i fogli word a lui consegnati brevi manu nello scalone di Palazzo de' Marescialli da Storari. Da qui partirà l'ingiusto mascariamento dell'ex numero uno del Dap Ardita, la cui colpa - a sentire Antonino Di Matteo - è quella di essere vicino ai presunti congiurati dell'Hotel Champagne, travolti dai brogliacci usciti sui giornali in tempo reale: Palamara, ma anche Luca Lotti, lo stesso Ferri e i cinque consiglieri Csm costretti a dimettersi, Luigi Spina, Corrado Cartoni, Antonio Lepre, Gianluigi Morlini e Paolo Criscuoli.

Per il gup di Roma quel Csm ne esce malissimo: colpa di «imbarazzanti silenzi ed inescusabili omissioni, ingiustificabili per chi ha avuto in mano quei verbali, li ha letti e poi distrutti», cioè Davigo ma non solo lui. Assieme a chi è stato massacrato ingiustamente c'è anche l'incolpevole Marcello Viola, già individuato a capo della Procura di Roma (e oggi a Milano), la cui nomina legittima salta all'ultimo secondo dopo la diffusione delle intercettazioni dell'Hotel Champagne, oggetto di una querelle interna alla Consulta che le ha sdoganate con una sentenza che per l'ex consigliere Nicolò Zanon stride con la Carta.

Ora, è chiaro chi è vittima di Amara.

Ma chi ha giovato delle sue «favole di Pinocchio», come lui stesso le ha definite? Dentro la magistratura o le istituzioni c'è chi l'ha protetto? E perché? Al processo che inizia oggi l'ardua sentenza.

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