Da una parte Rossella, Mentana e Della Valle. Ma l'ad Fiat conta su Squinzi e la Torino «rossa»

di MMarchionne che licenzia Montezemolo: il tema divide il pubblico e i salotti. E si scoprono tifosi dell'uno o dell'altro, anche con toni ben sopra le righe, personaggi dell'industria, della politica, giornalisti e banchieri più o meno insospettabili. Non è facile farne la mappa perché non c'è una linea «ideologica» unica a far da spartiacque. Sono schieramenti in ordine sparso, che vengono anche da molto lontano. Per esempio dal «Club di Berlino», di cui si è sempre fantasticato nei salotti e nelle redazioni dei grandi giornali e della cui esistenza si trovano tracce in un paio di interviste di Claudio Sabelli Fioretti ad alcuni dei suoi «iscritti», risalenti a 15 anni fa.

Del Club, nato in occasione di una trasferta nella capitale tedesca per un evento Ferrari, facevano parte Montezemolo, Carlo Rossella, Enrico Mentana, Paolo Mieli, Ezio Mauro e Diego Della Valle, che mise a disposizione l'aereo. Spedizione goliardica di alto livello, a cui ne seguirono numerose altre. Nacque un gruppo di «amici miei» a sette stelle, spesso ospiti anche sull'Altair, lo yacht di Della Valle, che oggi sta naturalmente tutto dalla parte di Luca. Ieri Rossella, al Fatto che gli chiedeva cosa direbbe, oggi, l'Avvocato Agnelli a Marchionne, ha risposto: «Caro dottore, lasci stare, Montezemolo ha lavorato bene, lei si occupi di vendere la Panda, che le conviene». In quanto alla furia di Della Valle contro l'ad della Fiat, ormai è diventata proverbiale e non poteva mancare nemmeno in questi giorni, come si è visto con le accuse lanciate lunedì al «furbetto cosmopolita». Fiat e Mr Tod's si ritrovano contro anche all'interno del Corriere della Sera , dove sono rispettivamente primo e secondo azionista e dove, da più di un anno, Della Valle attacca il presidente John Elkann con toni altrettanto pesanti.

Con Montezemolo sono anche tanti altri vecchi amici tra i quali il presidente Bnl Luigi Abete o quello del Coni Giovanni Malagò. Intorno a Marchionne, invece, il gruppo di sostenitori è molto meno glamour. A Torino il manager abruzzese ha rotto gli storici meccanismi, linguaggi, equilibri e rapporti tra la collina degli Agnelli, il resto della città e i terminali dei poteri forti. Tra i suoi sostenitori può però contare sul governatore del Piemonte, Sergio Chiamparino, con il quale condivide una visione non sofisticata di una città in grande evoluzione proprio per il ruolo e la presenza della Fiat. Discorso almeno in parte valido anche per il sindaco Piero Fassino. Il pragmatismo di Marchionne, esasperato dal caso Montezemolo-Ferrari, è qualità che ha fatto breccia anche nell'attuale vertice di Confindustria, pur rimasta orfana della Fiat proprio per scelta del suo numero uno. L'attuale presidente, Giorgio Squinzi, si può annoverare tra i marchionneschi come testimonia regolarmente anche il Sole 24 Ore , quotidiano controllato dalla Confindustria. E non sembra un caso che - sulla flessibilità nel mondo del lavoro - con Marchionne si sia schierata Federica Guidi, la più confindustriale delle ministre del governo Renzi.

Più difficile ricostruire gli schieramenti nel mondo bancario e finanziario. Un tempo le filiere erano molto chiare. Oggi Marchionne, se prendiamo l'operazione Fiat-Chrysler, lavora con le maggiori banche d'investimento americane, da Goldman Sachs a Bofa.

Tuttavia una sottile demarcazione si può andare a trovare anche tra i nostri big: più montezemoliano il capo di Unicredit Federico Ghizzoni, che ha il presidente Ferrari in cda come vicepresidente; più marchionnesco Carlo Messina, l'ad di Intesa, che tra le grane sulla sua scrivania si trova ora quella dei 660 milioni di debiti della Ntv. Di Della Valle e Montezemolo.

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