Già lo chiamavano Er Moviola, per i suoi modi sincopati, i toni bassi e la capacità di sdrammatizzare le tensioni allungando il brodo con sapienza. Rallenta e governa. Ma adesso che è arrivato all'ultimo miglio, Paolo Gentiloni ha rarefatto ancora la sua presenza sul campo, diventando quasi invisibile. Prudenza e mosse felpate non bastano più, ora lo slogan è: sparisci e governa. Niente commenti sulle elezioni siciliane, nessuna opinione pubbliche sulle future alleanze e sul tormentato cantiere del centrosinistra e soprattutto «massima cautela» sulla fine della legislatura. «Prima la manovra», questo il mantra di Palazzo Chigi, il resto si vedrà.
Dunque, la bussola è la Finanziaria, legge necessaria per tenere a bada i conti. E poi? Si dimetterà a Capodanno o cercherà di restare in carica, mettendo in cantiere «una cosa di sinistra» come lo ius soli? Se il Quirinale ha smentito manovre dilatorie, da Gentiloni è arrivato solo un eloquente silenzio. Cioè: forse, se ci sarà una spinta politica, se ci sarà una maggioranza, se ci saranno le condizioni. Però la testa del premier, fanno sapere da Palazzo Chigi, è tutta sulla legge di Bilancio.
Matteo Renzi di lui ormai si fida soltanto fino a un certo punto. Già non ha gradito la conferma di Ignazio Visco a Bankitalia, ora non vorrebbe trovarsi di fronte un governo amico che tira a campare sperando che da cosa nasca cosa. Ossia che il segretario venga ribollito fino a primavera inoltrata e sostituito come candidato premier da un nome meno divisivo, tipo appunto Gentiloni. «Paolo non sta a Palazzo Chigi per caso», ha ricordato Renzi minaccioso.
Sul punto Sergio Mattarella ha cercato di fare chiarezza. Il Colle non briga per far votare a maggio, si muoverà secondo le sue prerogative e non intende prestarsi a scenari che favoriscano gli uni e gli altri. Se non gli presenteranno un programma concreto, il capo dello Stato scioglierà le Camere i primi giorni dell'anno prossimo, in tempo per andare alle urne all'inizio di marzo. L'accordo con Renzi appare perciò valido e saldo.
Poi, certo, esistono tante variabili e un parametro da rispettare: la legislatura non può durare oltre il 14 marzo, cinque anni dopo dalla prima seduta del Parlamento eletto nel 2013. Ma per chiudere i battenti sia pure con appena un paio di mesi di anticipo occorre che, dopo aver varato la Finanziaria, il premier salga al Quirinale e dica al capo dello Stato che considera esaurito il suo compito e rimetta il suo mandato.
La palla quindi è, almeno in buona parte, in mano a Gentiloni. Che succedera? Er Moviola si dimetterà durante le feste di Natale o vorrà rallentare ancora il suo incedere, puntando a restare a Palazzo Chigi come premier in carica e non depotenziato, gettando un'Opa sulla prossima legislatura? Darà retta al segretario che non intende essere logorato o a chi nel Pd vuole sfruttare lo ius soli per riallargare il perimetro del centrosinistra, per costruire una coalizione? Continuare comunque non sarebbe facile. Oltre a neutralizzare Renzi, a Gentiloni servirebbe una verifica. Dovrebbe, ad esempio, far rientrare il profondo dissenso di Mdp, ipotesi improbabile.
Oppure, andare da Mattarella e certificare la sostituzione nella maggioranza dei bersaniani con Ala. E non basta, dovrebbe anche strappare il via libera del Quirinale all'operazione. Ma il presidente non avallerà tempi supplementari, se nel programma non ci sarà ciccia.
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