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Partiti in crisi: entrate sempre più scarse e flop delle donazioni private

Spese ridotte del 75% in 5 anni, dimezzate le voci relative al personale e agli stipendi. La crisi finanziaria deriva dalla fine del finanziamento pubblico alla politica e i versamenti privati ancora troppo esigui, nonostante i forti incentivi fiscali

Partiti in crisi: entrate sempre più scarse e flop delle donazioni private

I partiti italiani sono in bolletta. I motivi sono sostanzialmente due: da un lato l'abolizione del finanziamento pubblico, che risale a qualche anno fa, dall'altro il clamoroso flop delle donazioni da parte dei cittadini. Il dato emerge dal rapporto Openpolis-Agi dal titolo "Partiti in crisi - Analisi dei bilanci delle forze politiche tra 2013 e 2017".

Le riforme degli anni 2012-14 avevano cercato di spingere i partiti a finanziarsi attraverso donazioni private (le cosiddette erogazioni liberali). Per incentivare tali versamenti, da parte di cittadini e imprese, la legge aveva previsto anche delle agevolazioni fiscali. Ma la tendenza negativa negli anni successivi è stata chiara. In particolare tra 2014 e 2016, i contributi da persone fisiche sono calati del 38%, quelli da persone giuridiche del 67%. Nel 2017 c’è stata una prima inversione di tendenza sulle donazioni da persone fisiche (salite a circa 15 milioni di euro), mentre prosegue il trend discendente per i contributi da aziende e altri enti (scese attorno a quota 700 mila euro).

Per partiti diventa fondamentale disporre di eletti ai diversi livelli, soprattutto in Parlamento. Buona parte dei finanziamenti privati da persone fisiche, infatti, sono versati dagli stessi parlamentari ed eletti al partito di appartenenza. Si tratta della quota di indennità versata come contributo al partito, spesso prevista anche da statuti e regolamenti interni. I contributi dei parlamentari possono essere portati in detrazione come le altre donazioni per i partiti iscritti nel registro. Si tratta quindi agli effetti di legge di un finanziamento privato, ma non va trascurato che non è una semplice donazione, ma un contributo calcolato rispetto a un’indennità erogata dallo Stato o dalla Regione. Non è quindi irragionevole ipotizzare che indennità e rimborsi vengano mantenuti all’attuale livello anche allo scopo di finanziare partiti e movimenti.

Senza il contributo di parlamentari, consiglieri regionali e altri rappresentanti nelle istituzioni, le donazioni da privati sarebbero ancora più esigue di quanto visto in precedenza, e ciò comporterebbe ancora più difficoltà nel far quadrare i bilanci. Nel caso di Sel e della Lega Nord, la quasi totalità delle donazioni da persone fisiche nel 2017 è rappresentata dai contributi degli eletti. A seguire, Scelta civica (83,9%), Fratelli d’Italia (72%), Alternativa popolare (70,7%). Per Partito democratico e Forza Italia la percentuale di incassi dagli eletti si aggira attorno ai due terzi delle donazioni da persone fisiche complessive (rispettivamente 67,3% e 66%). La percentuale di contributi da eletti sul totale è inferiore al 50% nel caso del Partito socialista italiano (42%) e Rifondazione comunista (20,38%).

Il tesseramento ormai non conta quasi più nulla. Dai dati di Openpolis circa il 4,5% delle entrate dei partiti nel 2017 deriva dalle quote degli iscritti. Una cifra che però in termini assoluti è diminuita nel tempo.Tra i principali partiti a livello nazionale, solo per pochi le entrate dagli iscritti costituiscono una quota rilevante dei proventi. Tra questi spicca Fratelli d’Italia, che nel 2017 ha raccolto dal tesseramento circa 380 mila euro, pari al 29,5% delle sue entrate caratteristiche. Gli aderenti a Forza Italia hanno contribuito con le loro quote di iscrizione al 12% dei proventi (419 mila euro su quasi 3,5 milioni). Da segnalare, tra i partiti minori, il caso del Psi che raccoglie quasi la metà delle sue entrate dal tesseramento (282 mila euro su 578 mila).

Per due dei partiti maggiori, come Pd e Lega, la quota di proventi dagli iscritti è rispettivamente lo 0,29% e lo 0,26%. Cifre irrisorie anche in valore assoluto (51mila euro il Pd, 7mila la Lega Nord). La ragione è che entrambe le formazioni politiche adottano modelli di finanziamento in base ai quali sono le strutture locali (sezioni, circoli, federazioni provinciali ecc.) a trattenere gran parte dei proventi delle tessere. Un aspetto essenziale, di cui va necessariamente tenuto conto nel leggere i bilanci delle forze politiche.

Se calano le entrate giocoforza devono calare anche le spese. E così i partiti tagliano il più possibile. Tra il 2013 e il 2017 le uscite dei partiti sono calate del 75% (da 129 a 31 milioni). Il taglio maggiore riguarda gli acquisti di beni, scese di oltre il 90%, poi vengono i servizi, passati da quasi 40 milioni di euro a circa 11 (-72%). Fortissime riduzioni di spesa anche per il personale, da 19,6 a 9,4 milioni.

La voce "stipendi" in cinque anni è passata da 14,5 a meno di 7 milioni all'anno (-53%).

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