Pd in balìa delle speranze dei vizi di Elly

Si ha quasi l'impressione che la Schlein sia gelosa della sua "radicalità", sia più attenta a parlare ai suoi per vincere le primarie di coalizione tappa obbligata se cambierà la legge elettorale, che non a parlare al Paese per vincere le elezioni politiche tra un anno e mezzo

Pd in balìa delle speranze dei vizi di Elly
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Forse per capire la filosofia della Schlein e i sentimenti che albergano nel "campo largo" devi chiacchierare amabilmente con uno dei suoi uomini ombra, Igor Taruffi detto Tarufenko, negli studi tv di La7, dopo una puntata dell'Aria che tira. Parlando con il personaggio che è considerato il custode dell'ortodossia della "dottrina Elly" dei ragionamenti appassionati di Romano Prodi in salsa ulivista ti senti rispondere non senza sorpresa: "Quel mondo è finito, non esiste più. Il popolo di Prodi è cambiato". Discorsi non campati in aria visto che echeggiano le congetture sociologiche di queste settimane di un altro consigliere della Schlein, Francesco Boccia dal titolo: "Gli elettori del 96 (Ulivo, ndr) non ci sono più, sono scomparsi".

La Schlein è meno tranchant, fedele al motto che porta il suo nome - "siamo testardamente unitari" - ma poi alla fine la postura della segretaria non è tanto diversa. Il Professore parla in ogni sede e su ogni giornale (ieri sul Corriere): invano. La segretaria lo ascolta, magari annuisce, ma poi puntualmente fa di testa sua e asseconda la scuola "identitaria" che gli è cresciuta attorno, di chi è convinto che più che allargare il suo spettro di rappresentanza il Pd debba preservare la sua essenza di sinistra. "Prima di me - è una delle sue frasi che ama più ripetere - non si sapeva cosa fosse diventato il partito".

Si ha quasi l'impressione che la Schlein sia gelosa della sua "radicalità", sia più attenta a parlare ai suoi per vincere le primarie di coalizione tappa obbligata se cambierà la legge elettorale, che non a parlare al Paese per vincere le elezioni politiche tra un anno e mezzo. I suoi snocciolano i segnali a loro parere positivi che dimostrano la bontà della linea: dai 2 per mille emerge che i sottoscrittori del Pd (638mila) sono più di quelli di Fdl; in tre anni le finanze del partito sono passate da 5 milioni di euro a 10 milioni; e a chi gli rinfaccia di aver perso in coppia con Landini il referendum anti-Jobs act, fanno presente convinti che il quorum non fu centrato ma i 13 milioni di Sì che hanno risposto all'appello sono più dei 12 milioni che hanno portato la Meloni a Palazzo Chigi.

Insomma, sono sicuri di essere nel giusto anche se poi la segreteria non sembra tanto impegnata sul referendum sulla giustizia (al momento nessun parlamentare del Pd è presente nei comitati per il No) e preferisce lasciare all'Associazione magistrati la guida della crociata. Questi ragionamenti danno l'idea che la Schlein non creda più all'idea di un Pd dalla rappresentanza plurale com'era nella mente del suo fondatore Veltroni, ma lo consideri un soggetto spostato a sinistra che lascia la rappresentanza delle istanze più moderate alle altre anime del campo largo, a Matteo Renzi, al trasformismo di Giuseppe Conte o a ciò che può nascere su quel versante. Una schema che mette in ambasce la componente riformista interna al pd che risulta marginalizzata. "La Schlein - spiega Niko Stumpo, animatore del correntone che appoggia la segretaria - è l'unica che abbiamo. Non è tutto sbagliato come dicono Prodi e Gentiloni e non c'è un'alternativa ad Elly: Prodi ha 90 anni, la Salis meglio lasciar perdere, Manfredi è bravo ma non lo conosce nessuno. Per cui è inutile parlare di qualcosa che non c'è. C'è solo la Schlein accompagnata da un coro in cui ognuno deve cantare il suo spartito: Renzi deve fare Renzi, altrimenti a che serve? E se possibile anche Calenda deve fare Calenda".

In un "coro" del genere in cui il Pd fa la parte del tenore di sinistra è evidente che rischiano di restare afoni e fuori posto i riformisti del Pd. Tra loro l'insofferenza cresce e squarcia il proverbiale silenzio. "La Schlein deve decidere - spiega Stefano Graziano piddino riformista che ha conservato la furbizia dc - se vuole andare a Palazzo Chigi o se vuole portare qualcuno a Palazzo Chigi. Nel primo caso deve legittimarsi, deve parlare al Paese non solo qua dentro.

E ha tre tappe obbligate davanti: il congresso, il referendum sulla giustizia e le primarie di coalizione. Un itinerario che non può saltare". Ma anche, è la speranza di alcuni, un percorso di guerra a cui potrebbe non sopravvivere.

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