Sono trascorsi 1.029 giorni dall’ultima partecipazione di Silvio Berlusconi alle consultazioni quirinalizie. Era il 15 febbraio 2014 quando il leader di Forza Italia si presentò, accompagnato anche allora da Renato Brunetta e Paolo Romani, davanti a Giorgio Napolitano per discutere delle prospettive del dopo-Letta, con Matteo Renzi pronto a guidare un governo privo dell’investitura del voto popolare.
In quei giorni si raccontava di un Berlusconi colpito dal decisionismo politico del sindaco di Firenze, ma perplesso per la disinvoltura con cui Renzi aveva estromesso il premier in carica oltre che suo compagno di partito. Di certo quelle furono consultazioni lampo rispetto alle precedenti del marzo 2013, con l’incarico esplorativo assegnato a Pier Luigi Bersani e una lunghissima sfilata di soggetti sociali e sindacali convocati anche per consentire di prendere tempo al segretario del Pd alla disperata ricerca di una soluzione. Nel giro di due anni e mezzo la stagione politica ha subito un ribaltamento, così come ha ripreso quota la centralità berlusconiana.
Se nel febbraio 2014 il presidente di Forza Italia aveva subito la defenestrazione dal Senato ed era oggettivamente sotto botta, ora il Cavaliere è reduce dalla vittoria referendaria sulla quale ha rischiato, mettendoci la faccia e contribuendo in maniera decisiva a convincere l’elettorato di Forza Italia. Inoltre la parabola del renzismo - grazie anche a una serie di peccati di superbia del premier dimissionario - sembra volgere a un rapido declino, declino difficile da prevedere fino a qualche mese fa. Berlusconi attende invece la sentenza della Corte europea di Strasburgo, sulla quale è attesa la controrelazione del nuovo governo, sulla sua eleggibilità. Senza dimenticare la graduale convergenza delle forze politiche su una legge elettorale proporzionale, soluzione che potrebbe giovare a Forza Italia e assicurargli un maggiore potere contrattuale, sia rispetto al Pd che rispetto agli alleati di centrodestra.
I rapporti con Renzi, dopo l’iniziale intesa che portò al Patto del Nazareno, si sono raffreddati progressivamente, sotto i colpi di decisioni prese in solitaria, modifiche unilaterali dei patti, fino alla rottura definitiva di quel fragile accordo con l’elezione di Sergio Mattarella nel gennaio 2015. Eppure nonostante il divorzio da Renzi si sia consumato da tempo e il livello di fiducia di Berlusconi nel numero uno del Pd sia ridotto ai minimi termini, il periodico ritorno delle sirene del Nazareno è uno sport molto praticato dai retroscenisti politici, poi puntualmente smentiti dai fatti. Di certo guardando retrospettivamente alle partecipazioni di Berlusconi alle consultazioni quirinalizie, l’episodio più doloroso rimane probabilmente quello del febbraio ’95 quando Lamberto Dini fu indicato da Berlusconi (su suggerimento di Oscar Luigi Scalfaro e del segretario generale del Quirinale, Gaetano Gifuni) come l’uomo del Polo che avrebbe dovuto guidare un governo tecnico di transizione per arrivare alle elezioni in giugno.
Una prospettiva che non si realizzò con le dimissioni dell’ex ministro del Tesoro del primo governo Berlusconi soltanto nel gennaio 1996. Un precedente che potrebbe spaventare lo stesso Renzi, qualora il premier decidesse di nominare un uomo di sua fiducia come traghettatore verso le urne.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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