Dopo il referendum, qualsiasi sarà stato il suo esito, il governo (nuovo o vecchio che sia) dovrà tornare alla realtà. «Passata la festa, gabbato lo santo», dice il proverbio, che vale anche in questo caso. Prima del referendum, il ministro dell'Economia di Berlino Schauble ha dato un assist a Renzi augurando che vincesse il «si». Ma ieri il commissario europeo Moscovici ha detto che l'Italia deve rientrare nei parametri riguardanti il deficit e il debito. Sembrava di esser su «scherzi a parte», con un gioco divertente: ora compare la realtà, che comporta una politica correttiva perché il deficit previsto per il 2017 supera quello che ci è consentito. Non solo perché esso è il 2,4% del Pil (cifra, per altro, che non tiene conto del deficit di cassa fuori bilancio), ma anche perché il rapporto debito/Pil che ne deriva non scende rispetto a quello del 2016. Bruxelles (o Berlino), la Bce e i mercati chiedono che esso scenda; e non solo grazie a entrate una tantum (di cui è pieno il bilancio) ma anche stabilmente. Questa richiesta Bruxelles la fa in base alle regole europee. La Bce ne ha bisogno per prolungare oltre maggio 2017 l'azione di facilitazione quantitativa che comporta l'acquisto di debito pubblico già emesso. Ma soprattutto ne abbiamo bisogno noi, per ragioni che non hanno a che fare con Bruxelles, Berlino o la Bce. La prima ragione riguarda il debito pubblico e il contribuente che ne risponde. L'economia internazionale ed europea - e perciò anche quella italiana - vanno verso un rialzo del tasso di interesse. Ciò comporterà maggiori costi per il servizio del debito e renderà meno agevole il suo collocamento a fronte di altri investimenti, se continua ad apparire di dimensioni eccessive. C'è una seconda ragione per cui dobbiamo ridimensionare, certo molto gradualmente, ma in modo percepibile, il nostro debito pubblico Le banche ne posseggono molto. Perciò la loro attendibilità e capacità di finanziare l'economia si avvantaggerà, se lapprezzamento di tale debito migliorerà. Qualsiasi sia l'esito del referendum, la priorità consiste nel modificare la linea con cui l'economia pubblica italiana è stata guidata negli ultimi anni: una linea propagandata come svolta liberale con contento sociale e pro crescita.
Si sono fatti deficit pubblici eccessivi non per investimenti, ma per la domanda di consumi; si son fatte le riduzioni di imposte mediante un gruviera tributario occasionale di esoneri e premi fiscali, anziché mediante una riduzione sistematica delle aliquote e della progressività; non si è tagliata la spesa per le gestioni pubbliche in perdita; si è liberalizzato il mercato del lavoro solo a metà, con unaggiunta di incentivi fiscali non basati sulla produttività ma sul fatto di scegliere il contratto a tempo indeterminato; non si è dato libero spazio a contratti di lavoro regionali. E - last but not least - non si è capito che nell'economia di concorrenza, con socialità e crescita, occorre la tutela delle proprietà e del risparmio diffuso. Che spesso è proprio quello dei lavoratori.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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