Matteo Sacchi
Strano peccato l'ira. A rifletterci bene ce lo troviamo lì, proprio all'inizio della tradizione letteraria occidentale. «Cantami o diva l'ira funesta del figlio di Peleo che lutto infinito addusse agli Achei, molte e anzitempo nell'Ade gettò generose anime di eroi...».
Achille ingiustamente offeso da Agamennone non ha torto nel sentirsi ferito. Ma è la sua reazione ad essere spropositata. Non si può far massacrare un esercito perché ci si è visti sottrarre una schiava. Ecco, tutto si gioca nel bilanciamento tra orgoglio ferito, giustizia e quella furia incontenibile che a volte ci monta dentro. Su questo bilanciamento l'uomo si arrovella sin dall'antichità. E nel saggio che vi proponiamo questa settimana il filosofo Remo Bodei ripercorre tutto il pensiero umano attorno a questo «vizio» capitale. Anche perché in questo caso la definizione del vizio è più difficile che in altri.
Per gli antichi esisteva una rabbia giusta, era quella che non trascendeva, che non diventava collera. E con il cristianesimo? Il porgi l'altra guancia ha posto un limite molto più forte all'aggressività. Eppure... Eppure lo sdegno giusto, cacciato dalla porta può rientrare dalla finestra. Del resto quella di Gesù contro i mercanti nel tempio non era ira giusta?
Ecco allora divampare il dibattito: per Evangrio Pontico (probabilmente l'inventore dell'idea dei vizi capitali) non è mai giusta, per Gregorio Magno è invece per lo più una virtù.
Bodei analizza tutti questi temi e poi passa anche alla riflessione sociologica, analizza l'ira delle masse, quel sentimento che si trasforma in mobilitazione.
Non esiste infatti rivoluzione che non parta dall'ira popolare e non esiste guerra che si possa scatenare senza dare al popolo la sensazione che nasca da un giusto sdegno verso il nemico (Carl Schmitt docet). Se la rivoluzione francese ha aperto la «democratizzazione dell'ira» ora tocca a tutti noi gestire questo sentimento senza perdere la testa. Anche in politica.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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