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Il partito è nel caos: rinviata la Direzione

Il pasticcio giudiziario in Emilia blocca il rinnovo della segreteria. Consulta e Csm: sfuma l'accordo su Legnini, Violante e Catricalà

Roma - L'entità delle cifre in ballo nell'inchiesta che ha mandato in tilt le primarie d'Emilia, 4mila euro, non fa che alimentare l'inedito clima di rivolta nel Pd contro la «democrazia giudiziaria», come la bolla un dirigente. Ora il partito di Renzi si ritrova in un gigantesco pasticcio, dal quale al momento non si sa come uscire. Tanto che ieri si è deciso di rinviare alla settimana prossima la Direzione che avrebbe dovuto sbloccare la nomina della nuova segreteria del partito, sospesa da febbraio. «Meglio sbrogliare prima il pasticcio emiliano, altrimenti non ne usciamo», spiegano. Anche perché uno dei protagonisti delle primarie, Stefano Bonaccini, è membro della segreteria attuale, e bisogna capire se andrà sostituito o no: ieri il candidato alle primarie si è recato in Procura a Bologna, per chiarire la sua posizione e ne è uscito «determinato ad andare serenamente avanti». Bonaccini quindi mantiene la sua candidatura alle primarie, così come l'altro renziano, l'ex sindaco di Forlì Roberto Balzani. Che fa fuoco e fiamme contro un eventuale annullamento della consultazione: «Il partito deve rispettare le regole che si è dato». Il terzo sfidante, Matteo Richetti, indagato per cifre altrettanto irrisorie, si è sflilato «per evitare strumentalizzazioni».

Tutti aspettano un segnale da Renzi per capire se cercherà di sparigliare con un nome «pesante» su cui mettere tutti d'accordo o se si rassegnerà a primarie segnate dall'interventismo giudiziario. Dal quale, peraltro, «non si salva nessuno», sottolinea la parlamentare emiliana Francesca Puglisi, «visto che pure il capogruppo grillino in Regione è indagato». Nelle scorse ore si sono affrettati a tirarsi fuori tutti i nomi emiliani di peso nazionale che, più o meno avventatamente, erano stati evocati: da Romano Prodi, che fa seccamente smentire ogni coinvolgimento, a Pier Luigi Bersani («Per l'amor di Dio, abbiamo già dato») al ministro Dario Franceschini («Neanche per sogno. Piuttosto, sarebbe un ottimo candidato Pierluigi Castagnetti», butta lì). Anche il sottosegretario Delrio fa trapelare che non ci pensa neppure. L'unico che, secondo i rumors di Transatlantico, scenderebbe volentieri in campo è il ministro del Lavoro Poletti. Ma mezzo partito storce il naso contro «l'uomo delle Coop», e per Renzi si aprirebbe un ulteriore problema nel governo, dove già c'è da sostituire la Mogherini.

Se non bastasse il pasticcio emiliano, ieri è tornata in alto mare anche la questione delle candidature di nomina parlamentare per Csm e Consulta, su cui le Camere sono in grave ritardo. Dopo la trattativa gestita da Palazzo Chigi l'accordo pareva raggiunto sia sui nomi per palazzo dei Marescialli (con l'accordo sulla vicepresidenza al sottosegretario Pd all'Economia Legnini) sia sui due giudici costituzionali: Luciano Violante per il Pd e Antonio Catricalà per Forza Italia. Accordo saltato pochi momenti prima del voto, perché tra gli azzurri, sul nome di Catricalà, sponsorizzato da Gianni Letta, è scoppiata una mezza rivolta. Col risultato di un'ennesima fumata nera sulla Consulta.

E proprio dal Csm si registra l'«amarezza per il tono irridente» con cui Renzi ha liquidato la minaccia dello sciopero («Brrr... che paura», aveva detto il premier durante Porta a Porta) lanciata dall'Anm contro la riforma della giustizia.

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