Quel patto con Mattarella che ha promosso Alfano

Angelino agli Esteri grazie all'accordo col capo dello Stato: io alla Farnesina per frenare il voto anticipato

Quel patto con Mattarella che ha promosso Alfano

Per citare il neo-laureato premio Nobel Bob Dylan, «blowing in the uaind» si può anche approdare alla Farnesina. Con l'aiutino del Colle.

C'è riuscito Angelino Alfano, cui però ieri non sono state risparmiate ironie per l'inglese un filo maccheronico: tempo fa, in un incontro internazionale, sbagliò clamorosamente la pronuncia di wind, vento, e ieri il vecchio video era diventato virale sul web. Non basta però questo a scalfire il buonumore del nuovo ministro degli Esteri, che durante il giuramento dì lunedì, al Quirinale, si distingueva tra facce più o meno serie dei colleghi per il sorrisone da un orecchio all'altro che gli illuminava il viso, oltre che per il nuovo abito blu notte assai elegante, ma di mezza taglia più stretto del dovuto. Ma come è riuscito, Alfano, a passare dal Viminale alla Farnesina?

Non per la conoscenza delle lingue, questo parrebbe assodato. Chi ha seguito da vicino le rapide e frenetiche trattative per comporre la nuova squadra lascia cadere un indizio: «Né il premier incaricato Paolo Gentiloni, né quello uscente Matteo Renzi lo volevano lì». Anzi, avevano tutt'altro in mente, per il ministero appena lasciato proprio da Gentiloni: un interim, per continuare a seguire i dossier già avviati, o la promozione di una «tecnica» prestigiosa come l'attuale segretario generale della Farnesina, Elisabetta Belloni. E allora chi altro ha voce in capitolo, quando si tratta di scelta e nomina dei ministri? Costituzione alla mano, il presidente della Repubblica. E cosa avrebbe convinto Sergio Mattarella a sostenere l'appassionata autocandidatura di Alfano agli Esteri? Una promessa: quella di adoperarsi per sventare ogni tentativo di andare al voto presto, obiettivo che - temono dalle parti del Colle - potrebbe essere perseguito da Matteo Renzi. Del resto il neo-ministro degli Esteri ha detto anche pubblicamente (sia pur in politichese) quel che ha più chiaramente spiegato di persona al Presidente, siciliano e Dc come lui: sulla durata della legislatura «ci affidiamo alla saggezza di Mattarella». Tradotto: si voterà quando lo decide il Colle, indipendentemente da Renzi e dal Pd. Un alleato prezioso, per la prudenza quirinalizia.

Resta da capire perché Alfano avesse così tanta voglia di cambiare ministero. Gli Esteri sono un dicastero prestigioso, senza dubbio, ma il Viminale è assai più pesante e corposo, in termini di potere e di influenza. Il ministro ha lasciato trapelare sui giornali di essere stanco di presidiare una postazione così esposta su immigrazione e sicurezza. Anzi, come notava la Stampa ieri, si è fatto sfuggire un «Sono molto contento di lasciare il ministero dell'Interno dopo tre anni e otto mesi» (perché lui era lì dal governo Letta). I maligni però assicurano che non si tratti solo di questo, ma anche di quel celebre «caso Shalabayeva (la donna consegnata al Kazakistan insieme alla figlioletta, in barba al diritto d'asilo) che, come scriveva qualche giorno fa la Repubblica, dopo quattro anni «torna a fare capolino ai piani alti del Viminale». Dalle testimonianze acquisite nell'inchiesta per sequestro di persona, appena conclusa a Perugia, emergerebbe un ruolo meno defilato del ministro, che «non si limitò a segnalare l'urgenza della cattura di Mukhtar Ablyazov (marito della Shalabayeva, ndr) al suo capo di gabinetto di allora, Giuseppe Procaccini. Fece di più.

Chiese di essere informato ad horas degli esiti di quella caccia, a dimostrazione di quanto la faccenda fosse in cima alla sua agenda», scrive ancora Repubblica. All'epoca, fu il premier Letta a blindare Alfano. Di cui Renzi chiedeva a gran voce le dimissioni.

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