L’uno-due arriva a metà mattina, quando Federico Ghizzoni conferma davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche l’interessamento di Maria Elena Boschi per le sorti di Etruria. Un colpo quasi da knockout per il Pd, perché l’ex ad di Unicredit non solo ribadisce la versione di Ferruccio de Bortoli, ma aggiunge un particolare che fa vacillare persino i renziani più ortodossi. Anche Marco Carrai, infatti, ha seguito la vicenda con una certa attenzione, al punto che il 13 gennaio 2015 inviò una mail a Ghizzoni.
«Mi è stato chiesto di sollecitarti per dare una risposta su Etruria», scriveva il migliore amico di Matteo Renzi, tuttora suo consigliere e uomo fidatissimo. Che il rapporto tra i due sia quasi osmotico è cosa nota ed è proprio per questa ragione che a Largo del Nazareno si inizia subito a pensare al peggio. Anche perché se le parole hanno un peso quel «sollecitare» messo nero su bianco da Carrai non fa che confermare una condotta quantomeno discutibile da parte del cosiddetto «giglio magico». Basta sfogliare il vocabolario Treccani: «Sollecitare», ovvero «fare pressione, insistere presso altri perché facciano al più presto quanto avevano promesso o quanto si era loro richiesto».
Che la situazione abbia superato il livello di guardia lo capisce presto anche Renzi, che passa la giornata attaccato al telefono per tamponare la falla. Uno squarcio enorme se a Carrai servono ben sei ore per abbozzare una versione vagamente credibile per giustificare la sua mail. Una difesa debole, contraddittoria e inutile, perché quella che Renzi aveva immaginato come la Commissione per «processare» Bankitalia, Consob e magari anche la «dalemiana» Mps per l’acquisto di Antonveneta e Banca 121 è ormai diventato un plotone di esecuzione che punta proprio contro di lui.
E ovviamente contro la Boschi, che ci mette del suo con un surreale post su Facebook nel quale elogia Ghizzoni per aver «confermato» la correttezza del suo operato. Da ieri, insomma, per il Pd la «crisi Etruria» rischia di diventare ingestibile. Il territorio è in rivolta e pure i vertici del partito più vicini al leader gli chiedono un intervento drastico. Renzi ne è consapevole («siamo all’apice del casino», ha ripetuto durante una delle tante telefonate) ed è per questo che a breve, questione di ore, dovrebbe avere un faccia a faccia con la Boschi. «Non le chiederò mai di fare un passo indietro, ma è chiaro - si è sfogato il segretario del Pd in una delle sue conversazioni telefoniche - che così non possiamo andare avanti».
Parole che forse per la prima volta incrinano un rapporto di fiducia non solo politico ma anche personale che non è mai stato in discussione. D’altra parte, in politica ci sono momenti in cui avere la lucidità di fare un passo indietro è fondamentale per poter difendere la propria credibilità. Senza considerare che ormai da settimane il dossier della ricandidatura della Boschi è argomento di discussione serrata nel partito, con più di una segreteria regionale dem - quella della Campania pare fosse una delle più accese - che ha minacciato dimissioni in blocco se le dovesse essere imposto l’ex ministro delle Riforme in un collegio uninominale.
E da ieri, seppure a malincuore, Renzi sembra aver preso atto del fatto che ostinarsi nella difesa dell’indifendibile non è più una strada percorribile.
Il crollo dei consensi registrato dai sondaggi (pubblici e riservati) da quando è riesploso il caso Banca Etruria è stato vertiginoso e se il leader del Pd vuole provare a invertire la rotta l’unico modo è smarcarsi perché - ha fatto sapere ad un deputato dem - «sono stufo di pagare per le colpe di altri». Non è un caso che a sera il Pd - e dunque Renzi - abbia alla fine deciso di scaricare Carrai. «La mail? Chiedete a lui, non a noi», la butta lì il renzianissimo presidente del partito Matteo Orfini.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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