Il Pd in cerca di firme per il voto Ma in realtà è caccia ai rimborsi

L'obiettivo è incassare 500mila euro. Ma si procede a rilento

Il Pd in cerca di firme per il voto Ma in realtà è caccia ai rimborsi

Roma - «Basta un sì» per fare un po' di cassa. Da giorni circolano gli appelli del Pd ai militanti dem per raccogliere firme in vista del referendum costituzionale. Il tono è enfatico, una chiamata alle armi indicata come decisiva per il partito e per il governo. Ma quel mezzo milione di firme che i dem stanno cercando hanno, in effetti, soprattutto un risvolto economico.

I messaggi, molti dei quali portano la firma del vicesegretario Pd Lorenzo Guerini, calcano la mano sul fatto che «per fare il referendum la tua firma conta». Ma la realtà è un'altra, e l'ambiguità dell'appello aumenta solo la confusione. Quelle 500mila firme sono ridondanti, perché il referendum è stato già richiesto ad aprile da un quinto dei deputati, e tanto basta. Renzi però ha voluto comunque che il partito lanciasse la raccolta firme, come peraltro ha fatto anche il comitato del no. Il motivo «ufficiale» è coinvolgere e informare i cittadini sulla riforma e sul voto del prossimo autunno. Ma il vero nodo è soprattutto che, al raggiungimento delle 500mila firme richieste, il comitato promotore ottiene di diritto spazi in tv e radio e soprattutto un rimborso economico. Pari, per la precisione, a un euro per ogni firma valida raccolta. Il Pd si assicurerebbe, insomma, un tesoretto di almeno mezzo milione di euro, che arriverebbe in cassa senza alcun dubbio poiché, trattandosi di referendum costituzionale, non c'è nemmeno l'incognita del quorum.

Tutto lecito, ovviamente. Anche il comitato del «no» raccoglie firme e spera nello stesso esito, ma soldi e visibilità mediatica gli servono decisamente di più rispetto al «sì», che come è evidente ha le spalle coperte dal Pd, dalla struttura del partito, dai suoi uomini e soprattutto dai suoi soldi. Tra l'altro il «Comitato Nazionale per il Sì al referendum Costituzionale - Basta un sì», che a metà maggio ha presentato richiesta per il referendum alla Cassazione indicando come responsabile il piddino Maurizio Chiocchetti, già organizzatore di primarie e campagne referendarie per conto del partito, sul fronte della pecunia si sta portando già avanti col lavoro, e sul suo sito web raccoglie donazioni di sostenitori per «contribuire alla campagna». Fino a ieri, la somma raccolta era pari a 34mila euro, circa un terzo del «primo obiettivo», fissato in centomila euro. Non è chiaro, tra l'altro, se i volenterosi militanti dem che oltre a firmare hanno anche messo mano al portafogli verranno poi rimborsati nel caso in cui il comitato ottenga la validazione e la successiva monetizzazione delle 500mila firme. Insomma, il martellamento mediatico sugli iscritti sembra dettato più da un movente economico che da altro, visto che, come detto, il referendum non è a rischio e si andrà comunque a votare. Il problema, semmai, è che la raccolta firme starebbe procedendo piuttosto a rilento in tutto il Paese, e l'entusiasmo della base risulterebbe finora ancora non pervenuto, quando mancano solo un paio di settimane al termine di consegna degli autografi. Solo un sesto degli iscritti al Pd veneziano, per esempio, avrebbero provveduto all'incombenza. E dall'Emilia sarebbero arrivate a stento la metà delle firme attese.

Ecco dunque la strategia di comunicazione che diventa «allarmista», e lusinga iscritti e militanti sottolineando l'importanza di firmare per il referendum, e tacendo che gli autografi servono, più che altro, a far cassa.

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