L a colazione, ieri mattina, è andata di traverso a più d'uno dei dirigenti che presidiano le stanze del Nazareno. Con il cornetto in una mano e l'altra a sfogliare le pagine politiche dei giornali, più d'uno è saltato sulla sedia al vedere il Messaggero titolare con grande evidenza «Il simbolo non è un dogma», riprendendo le parole dell'intervistato, Nicola Zingaretti, chiamato a parlare del futuro politico del Partito democratico in vista delle elezioni europee.
Ovviamente non si tratta di un'abiura ma di una proposta azzardata forse sì. Almeno per Maurizio Martina che si professa «orgoglioso» di un simbolo che esprime «l'impegno di migliaia di persone che si battono per un'Italia più giusta». I titolisti, si sa, a volte esagerano. E nel corso dell'intervista il governatore del Lazio, candidato tra l'altro alla poltrona di segretario del partito, dice che bisogna andare «oltre il simbolo» per accogliere in una lista più ampia «intellettuali, giovani, personalità del mondo della scuola, del mondo del lavoro e dell'associazionismo».
A stretto giro di posta, l'agenzia di stampa AdnKronos consulta i sondaggisti per sapere se l'idea di Zingaretti possa essere vincente. Renato Mannheimer sostiene, a esempio, che il simbolo non è irrinunciabile, «però serve una leadership forte». Maurizio Pessato (Swg) è d'accordo ma «soltanto per il voto europeo». Anche Luca Comodo (Ipsos) è possibilista e anche lui punta sulla carta della leadership (è «indispensabile che sia forte»).
Insomma uscire dallo stretto riconoscimento iconico del Pd si può e - forse - si deve. Ad appoggiare l'idea del governatore c'è Carlo Calenda (che però la subordina al placet di Martina). Anche Matteo Richetti interviene sul tema. Il «secondo» di Martina alle prossime primarie per la segreteria apre alla proposta di Zingaretti e dice: «Serve un ripartenza che segni un nuovo inizio proprio sulle forme della politica». «Ma - avverte - il simbolo va di pari passo con il progetto: se il progetto è nuovo e ampio, sarebbe improbabile pensare a non modificare e innovare la forma oltre che la sostanza».
Ci vuole, però, un occhio «esterno» per rendersi conto di un paradosso. «A chiedere il superamento del simbolo del partito - ironizza su Twitter il capogruppo a Montecitorio di Fratelli d'Italia, Francesco Lollobrigida - è uno dei candidati a guidare quello stesso partito». E un altro candidato (Dario Corallo, il più giovane con i suoi 31 anni) si affretta a portare il dibattito nell'alveo del confronto sulla leadership interna. «Ora - dice - pare che il problema del Pd sia il simbolo. Pur di mascherare il proprio fallimento sono disposti a nascondere lo smantellamento del partito dietro il cambio del nome o del simbolo». Insomma un'altra giornata non proprio buona per gli inquilini del Nazareno. Una giornata segnata anche dal sonoro schiaffo ricevuto dalla Consulta sul ricorso presentato in merito alle modalità di approvazione della Legge di Bilancio. Nel giorno (peraltro) del quarantaquattresimo compleanno dell'ex segretario Matteo Renzi, il partito si mostra ancora fragile e diviso. E intanto i sondaggi continuano a descrivere un partito in crisi di consensi.
Quello presentato ieri da Index Research per Piazza Pulita (La 7) dice che il partito di Martina si ferma al 17,5%, guadagnano in questo modo lo 0,3% rispetto a un mese prima, ma restando ben sotto il 18,7% conquistato alle elezioni politiche di marzo.
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