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Il Pd diviso pure su Conte: si sente escluso sul Colle

Letta preoccupato per l'isolamento dem dopo la crisi M5s. Guerini teme una "spirale depressiva"

Il Pd diviso pure su Conte: si sente escluso sul Colle

Come era inevitabile, la surreale deflagrazione del partito grillino si ripercuote subito nel Pd. E comincia a togliere il tappo ai malesseri interni e ai contrasti sulla linea, sin qui affermata, dell'inseguimento di un'evanescente «nuovo Ulivo» con i Cinque Stelle e con Giuseppe Conte al posto di Prodi.

Una linea che guardava non tanto alle scadenze elettorali attuali o future, quanto alla madre di tutte le battaglie, ossia l'elezione tra sei mesi del nuovo presidente della Repubblica, nella speranza di poter costruire con Conte un'intesa capace di tenere insieme i voti dei parlamentari Cinque Stelle e di quelli di Pd e Leu, contrastando l'asse di centrodestra e le possibili manovre corsare di Matteo Renzi. Che ha dimostrato in questi mesi di sapere come far saltare i giochi altrui (vedi Conte ter) per imporne altri (vedi governo Draghi). Il dubbio che possa puntare su un candidato moderato (c'è chi fa il nome di Casini) per trascinare voti dal centrodestra e spaccare il Pd agita il Nazareno.

Enrico Letta non nasconde l'allarme: «Mi preoccupa il rischio che la crisi M5s influisca sulla partita del Colle, che è delicatissima e richiede idee chiare e determinazione». Cosa però assai difficile da aspettarsi dai 5S, tanto più ora che stanno per scindersi in una serie di indeterminate entità. La prospettiva di andare «al buio» a votare il successore di Mattarella spaventa il Nazareno, che però allo stato non ha interlocutori: «Non sappiamo letteralmente con chi parlare, sul Quirinale ma anche sull'agenda quotidiana in Parlamento», dice un dirigente. Lo dimostra anche lo stallo sul ddl Zan, impantanato nel braccio di ferro con la Lega e a forte rischio nei futuri voti segreti, perchè nessuno sa quanti franchi tiratori possano covare tra M5s e lo stesso Pd.

Ora i molti dem che da tempo nutrivano seri dubbi su questa strategia vedono la realtà confermare le loro resistenze, e iniziano apertamente a invitare il partito a voltare pagina. Il momento «è delicato e bisogna essere responsabili», dice ai suoi il ministro Guerini, che teme le «ripercussioni» sul Pd della crisi grillina e l'avvitamento del partito in una «spirale depressiva» ora che emerge «il grave errore» di aver puntato tutto sull'alleanza con i grillini, invece di «intestarci senza ambiguità i punti fondamentali dell'agenda Draghi».

Il più netto è Enrico Borghi, esponente dell'ala riformista che Enrico Letta ha voluto in segreteria e che chiede «l'archiviazione definitiva della fase di circolazione extracorporea del Pd che affidava a Conte la funzione di leadership del centrosinistra». Funzione che, «ammesso e non concesso fosse possibile, non è in alcun modo praticabile. Per fortuna». Un altolà deciso, con ironico invito ai compagni di partito invaghiti di Conte a «non mettere il lutto», e al segretario perchè si smetta di inseguire alleanze «tattiche o mitologiche» per recuperare il profilo «riformista» e centrale del Pd. Gli fa eco l'ex capogruppo Andrea Marcucci: «Ora il Pd riunisca i liberal-democratici, senza preclusioni, e l'agenda Draghi sia il nostro faro». La sinistra filocontiana, che teme aperture all'odiato Renzi, del Pd insorge indignata: «A gioire dei problemi altrui si finisce battuti e isolati come nel 2018», dice Lanfranco Vaccari.

Ora a Letta tocca il difficile compito di evitare che la spaccatura grillina finisca per spaccare anche il Pd.

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