Il governo giallorosso non parte ma il Pd invoca subito un chiarimento politico. La richiesta dei dem consegnata al premier incaricato Giuseppe Conte, al termine del vertice a Palazzo Chigi con la delegazione dei 5 stelle, riassume un'altra giornata di stallo nella trattativa per la nascita dell'esecutivo. Anche perché dal fronte grillino l'invito viene rispedito al mittente. Resta, dunque, in salita la strada verso la nascita del Conte bis.
Ieri è stata un'altra giornata segnata da colpi di scena, riunioni, veleni e attacchi tra le due forze politiche che dovrebbero comporre la nuova maggioranza. Dopo l'ultimatum di Luigi Di Maio, Conte cambia l'agenda della mattinata. L'incontro, fissato alle 9,30, tra le delegazioni Pd e Cinque stelle salta: il premier incaricato sale al Quirinale. E fa trapelare di essere pronto a rimettere il mandato di formare il governo nelle mani di Sergio Mattarella. Una mossa che punta ad abbassare i toni. Poco dopo le ore 12, Pd e 5 stelle si risiedono a Palazzo Chigi con Conte: la trattativa riparte. Fuori, Alessandro Di Battista riprende il cannone contro l'accordo, sposando la linea di Di Maio. Intanto, a Palazzo Chigi i due partiti danno vita a un lungo faccia a faccia: due ore e mezza per trovare un'intesa. All'uscita le versioni non coincidono. Il Pd, con i due capigruppo, Graziano Delrio e Andrea Marcucci, invoca un chiarimento politico e rimette la patata bollente nelle mani del premier. Marcucci è netto: «C'è bisogno di un chiarimento politico, ci aspettiamo avvenga a breve». Per i grillini non c'è sul tavolo alcun chiarimento politico. «Abbiamo parlato di temi e non di poltrone. La ricognizione è andate bene» commenta Stefano Patuanelli. E sempre i Cinque stelle fanno sapere di aver ricevuto garanzie dal premier su alcuni punti: taglio dei parlamentari (prima seduta utile), revisione delle concessioni autostradali, stop a inceneritori e trivelle. Ribattono le fonti dem, annunciando il via libera allo sblocco delle infrastrutture. Nel pomeriggio, Di Maio riunisce i big grillini. Lo stato maggiore pentastellato si ricompatta: Di Maio vicepremier con delega pesante (Interno o Difesa) o no se ne fa nulla. Posizione su cui converge Davide Casaleggio. Dopo il vertice dei Cinque stelle riprende quota lo schema con due vice: Franceschini (Pd) e Di Maio (M5s). Mentre da palazzo Chigi fanno trapelare che il premier incaricato possa consegnare martedì (dopo il voto su Rousseau) la lista di ministri al capo dello Stato. Ma senza la nomina del vice. Accentrando i poteri nelle mani del sottosegretario alla presidenza del Consiglio: poltrona che andrebbe a Vincenzo Spadafora, vero regista dell'accordo giallorosso. Soluzione bocciata sia dal Pd che dal Movimento. Conte vorrebbe attendere l'esito della consultazione grillina prima di sciogliere la riserva. Il voto su Rousseau diventa, dunque, una pistola puntata contro Conte.
Di Maio valuta anche l'opzione di restare fuori dall'esecutivo e giocare una partita alla Renzi, dando tormenti all'esecutivo con una pattuglia di parlamentari a lui fedeli. Il Pd resta fermo sulla posizione di non voler rinunciare al vice.
Il premier incaricato si è preso 24 ore di tempo prima di sottoporre a Zingaretti e Di Maio una proposta definitiva di ministri e programmi. O si chiude o si ritorna al Colle per rimettere il mandato. Certificando il fallimento di un'alleanza morta già in sala parto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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