Pd, finito il tira-molla umbro: la Marini si dimette

Nel week-end la governatrice aveva votato il suo salvataggio. Zingaretti smentisce pressioni

Pd, finito il tira-molla umbro: la Marini si dimette

Roma - E alla fine di un tira-e-molla durato per tutto il weekend, la governatrice umbra Catiuscia Marini ha ceduto. Lascia la poltrona della Regione dopo lo scandalo sulla sanità che l'ha vista coinvolta in alcune intercettazioni, anche se per il momento la sua posizione non va al di là di questo e lei continua imperterrita a proclamarsi innocente. Eppure, pressata dal segretario piddino Nicola Zingaretti (nel tondo), aveva in un primo momento fatto sue le necessità di un partito in campagna elettorale e promesso di dimettersi. Ma al dunque, sabato scorso, il voltafaccia clamoroso: avendo riscontrato che anche due del proprio gruppo non si erano presentati e che la giunta sarebbe andata in crisi, Catiuscia - immortalata in un gesto che resterà negli annali della politica che bada ai propri affari - aveva votato contro le dimissioni da lei stessa presentate.

Immaginabile lo sconcerto di tutto il Pd, a cominciare da Zingaretti, che si era detto «oltre che arrabbiato un po' deluso», negando (risibilmente) di averla costretta a dimettersi: «Ho chiesto solo di valutare le scelte migliori, e lei si è dimessa. Il fatto che dopo un mese voti contro le sue stesse dimissioni per me è un grave errore». Lo stesso concetto tartufesco, più o meno, era condiviso dal presidente Paolo Gentiloni, dal vicesegretario Andrea Orlando, dal commissario straordinario inviato dal partito in Umbria, Walter Verini, che aveva intimato ieri alla Marini di «chiudere al più presto questa brutta pagina». E il segretario aveva rincarato la dose, sia pure in modo indiretto: «Sia ben chiaro che il Pd che ho in mente è un partito in cui se qualcuno si vende le domande dei concorsi, siamo noi a mandarlo via prima che intervengano le procure».

Ma fino a l'altra sera il Nazareno non era riuscito a cavare un ragno dal buco e a conoscere le determinazioni della governatrice.

A tarda sera era giunto sulla segreteria un comunicato ancora battagliero, da parte della Marini: «Manifesto tutto il mio stupore per la gravità delle affermazioni pronunciate da Zingaretti, che non corrispondono agli atti dell'assemblea legislativa dell'Umbria e dirette a negare la pressante ed esplicita richiesta ricevuta durante la giornata del 16 aprile scorso volta a determinare, in modo anomalo ed extra-istituzionale, le mie dimissioni da presidente della Regione Umbria, carica istituzionale eletta direttamente dai cittadini». Un atto d'accusa che lascia ancora interdetto il partito, investito a pochi giorni dal voto, dall'ennesimo scandalo e dall'ennesima atto di rivolta di quelli che un tempo venivano definiti «cacicchi».

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