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Il Pd frena le mire di Conte. E ora guarda a Forza Italia

Retromarcia sugli Stati generali: non saranno la passerella del premier. I nodi con Renzi e M5s

Il Pd frena le mire di Conte. E ora guarda a Forza Italia

La versione ufficiale dell'indomani è ovviamente diplomatica: «Nessuna contrapposizione» tra Pd e premier, nessuno «scontro» («Anche perché litigare col premier è impossibile, quello è un incassatore professionista, annusa l'aria e si adegua subito», chiosa un ministro). Solo un «utile chiarimento» sulla gestione della delicatissima fase che si apre ora.

Ma l'avvertimento al premier è arrivato forte e chiaro, sia pur avvolto ieri in eufemismi: togliti dalla testa di fare l'uomo solo al comando, e di gestire personalisticamente il fiume di risorse Ue per la ricostruzione. Conte, capita l'antifona, ha fatto retromarcia: i pomposi «stati generali dell'economia» che aveva annunciato (all'insaputa dei dem) slittano a giovedì e non saranno il Red carpet condito di improbabili vip su cui contava di esibirsi, ma vengono derubricati a «primo momento di riflessione» cui seguirà un lungo «processo che coinvolga in modo non superficiale le migliori energie, per definire obiettivi chiari allargando il confronto a tutte le forze politiche disponibili», si legge nel comunicato vergato da Zingaretti al termine di un summit Pd.

La fuga in avanti di Conte e la sua «ansia comunicativa di mostrarsi come il timoniere del futuro» (dice un alto dirigente Pd) sono state per ora stoppate. Una «ansia comunicativa» che si è concretizzata anche nella diffusione, spinta da Palazzo Chigi, di quel trionfale sondaggio sui mirabolanti consensi (a spese di un Pd ridotto al 16%) di una futuribile Lista Conte. Va bene celebrare il premier come «punto di riferimento dei progressisti», come dicono gli zingarettiani, a patto che Conte sappia che la sua è una leadership «octroyée», e che non può allargarsi fino a dare per scontato il ruolo ancillare che i dem hanno finora assolto. Ora che ci sono enormi risorse da gestire, il Pd non vuole farsi scippare il rapporto con i sindacati (con un Landini trasformato in reggicoda contiano), e vuole riconquistarsi un ruolo di regista, ricostruendo le relazioni con la Confindustria di Bonomi e coltivando quelle con Forza Italia, che può pesare molto nella partita per il proporzionale e per l'adozione del Mes, neutralizzando - nelle speranze del Nazareno - le spinte centrifughe di Renzi sul primo fronte e di M5s sul secondo.

I toni sono insolitamente aspri: il vicesegretario Orlando parla (riferendosi al premier) di «improvvisazioni e false partenze» sulla convocazione degli Stati generali, «senza prima definire la proposta del governo su come vogliamo spendere i soldi dell'Ue».

Ad alimentare la tensione tra dem e premier non ci sono solo questioni di ampia portata come i piani di rilancio di un paese alla frutta. C'è anche la crescente diffidenza per il protagonismo sempre più disinibito di un Conte convinto di poter restare in sella a oltranza, e per il suo pervasivo uso del potere. Ad esempio sulla lottizzazione Rai, da sempre oggetto del desiderio dei politici. Al Nazareno non hanno mandato giù l'imposizione alla conduzione di Agorà (Rai3) di Luisella Costamagna, stagionata presentatrice tv della scuderia Santoro, poi convertitasi al grillismo militante e collaboratrice del Fatto, ma anche della Verità. Le sue ultime esperienze tv sono state poco fortunate: programmi chiusi per assenza di spettatori, conduzioni di trasmissioni rapidamente archiviate, il debutto da anchor su una tv albanese, Agon channel, che fallì immediatamente. Ora, accusa il Pd, Conte (tramite il fido Casalino, e con l'intercessione di Travaglio) la piazza alla guida di Agorà che, da soporifero talk fatto col bilancino partitico, si trasformerebbe in un circo anti-partiti (tranne M5s) e soprattutto anti-Pd.

«Ci odia, ci insulta da anni: ad Agorà non metteremo più piede», giurano al Nazareno.

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