"Il Pd guarda solo a sinistra e ha rifiutato il ceto medio"

Intervistato da Vespa, il riformista dem Guerini analizza la linea Schlein: "Il suo messaggio radicale taglia i ponti"

"Il Pd guarda solo a sinistra e ha rifiutato il ceto medio"

Esce oggi, giovedì 30 ottobre, il nuovo libro di Bruno Vespa. «Finimondo. Come Hitler e Mussolini cambiarono la storia. E come Trump la sta riscrivendo» (Rai Libri Mondadori. 426 pagine. 22 euro).

Per gentile concessione dell'editore e dell'autore pubblichiamo un capitolo del libro, dedicato ai tormenti dell'ala moderata e riformista del Pd, sempre più a disagio di fronte all'unanimismo di sinistra della direzione Schlein.

"Il problema del Campo largo non è tanto quello di associarsi per vincere le elezioni, ma di darsi una prospettiva di governo che, allo stato, mi pare molto lontana". Una sconfessione della segreteria? "Ma no, non voglio sconfessare nessuno. L'incontro del 24 ottobre 2025 (a Milano, a cui hanno partecipato diversi esponenti dell'area riformista del Pd, nda) era stato pensato per mettere al centro il tema della crescita dell'economia, che è fondamentale per sostenere il welfare. Dopodiché, le vicende delle ultime settimane gli hanno conferito un carattere diverso, al quale però non vorrei dare una caratura eccessiva. È innegabile che Elly Schlein abbia rivitalizzato il partito, e con lei dobbiamo collaborare lealmente. La linea politica resta quella di costruire un'alleanza larga, ma credo occorra far chiarezza su alcune questioni di fondo, necessarie per governare, e anche per essere credibili e meritarci la fiducia degli italiani. E questo mi pare complicato se non è chiara, per esempio, la posizione in politica estera di quello che chiamiamo il Campo largo".

Nel suo piccolo studio di presidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir) al sesto piano di palazzo San Macuto, affacciato su Roma, Lorenzo Guerini usa le sfumature della vecchia scuola democristiana per esprimere il disagio crescente dell'ala riformista del Partito democratico, che rispetta senza equivoci la segretaria Elly Schlein ma teme che vadano perduti alcuni punti di forza di quello che, una volta, era un partito di centrosinistra. (Riavvolgiamo il nastro della memoria. Nel 2002, quando i Popolari si sciolsero nella Margherita, Francesco Cossiga affermò di stare molto attenti a conservare il trattino nel termine "centro-sinistra", per non confondere le due anime della coalizione. L'aveva detto fin dai tempi in cui la Dc si alleava con il Psi. Oggi, dopo la vittoriosa rivoluzione di Elly Schlein, nel Pd oltre al trattino è scomparsa anche la parola "centro", perché è difficile riconoscervi anche una posizione centrista, visto che nessun riformista occupa nel partito posti di responsabilità).

"Manca un anno e mezzo alle elezioni," mi spiega Guerini "è tempo di confrontarci, non solo sulla ricerca di una posizione comune del Campo largo sulla politica estera, ma anche sull'identità del Pd. Sono rimasto molto sorpreso dall'intervista di Dario Franceschini (La Repubblica, 16 settembre 2025) in cui afferma che è finita l'era dei leader moderati per vincere le elezioni. Lei conosce la mia amicizia e il mio rispetto nei confronti di Dario, ma questa idea che il Pd debba guardare soltanto alla sua sinistra rischia di tagliare i ponti con i ceti medi, la piccola impresa, l'artigianato, il mondo dei commercianti e delle partite Iva. Settori della società che pongono sul tavolo temi che riguardano il sostegno alla crescita, le leve fiscali, la sicurezza. L'idea della divisione dei compiti per cui il Pd dovrebbe appaltare ad altri la rappresentanza di questi mondi rischia di farci parlare soltanto a un pezzo di Paese. In una fase storica, un grande partito come il Pd può anche radicalizzare in parte il suo messaggio, ma, se vuole tornare al governo, non può trascurare il dialogo con il ceto medio, al quale la sinistra italiana sta attenta fin dai tempi di Togliatti".

Perché è fallito il rapporto con Bonaccini?, gli domando. "Stefano, dopo il congresso che abbiamo perso, è stato eletto presidente del partito e sta svolgendo bene questo ruolo, che è di garanzia, con il pieno riconoscimento da parte di tutti. Le nostre opinioni si sono differenziate sul come valorizzare una rispettosa, ma utile dialettica interna al partito. Su questo si è manifestata una diversità di opinioni, che ci ha portato a scegliere strade diverse su come portare il nostro contributo al Pd. Per quanto mi riguarda, senza recriminazioni e nel pieno rispetto delle persone". "Energia popolare", la corrente di Stefano Bonaccini, è implosa il 20 settembre quando alla prevista riunione online, nell'imminenza della Direzione nazionale del Pd, non hanno partecipato pezzi da novanta come Lorenzo Guerini e Graziano Delrio, ma anche figure influenti come Pina Picierno, Lia Quartapelle, Giorgio Gori, Marianna Madia. Assente anche Filippo Sensi, storico portavoce di Renzi a palazzo Chigi. Mi dice Sensi: "I riformisti devono tornare ad avere una voce, per troppo tempo c'è stato un colpevole silenzio". Chi era presente non ha lesinato critiche a Bonaccini. "Non si può impedire il dibattito" sostiene Simona Malpezzi, per contrastare l'unanimismo chiesto dal presidente del Pd. E Sandra Zampa, in quell'occasione, ha annunciato che abbandonava la corrente sostenendo che questa "ha esaurito la sua funzione. Con questo unanimismo fittizio viene da rimpiangere i tempi in cui si litigava con Renzi". (Zampa è una storica collaboratrice di Prodi e si sa che il Professore è molto critico con la linea della segreteria). Si aggiunga che nelle stesse ore, parlando a Faenza alla convention del Post, Paolo Gentiloni, rispondendo alla domanda se Elly Schlein possa andare a Palazzo Chigi, ha detto: "Le opposizioni hanno da fare moltissimi passi in avanti per guadagnare la credibilità per poter essere alternativa di governo". La reazione di Bonaccini ("Questo è un riformismo da Palazzo") non ha attenuato i dissensi.

Faccio notare a Guerini che un sondaggio tra gli elettori del Pd segnala un 70% favorevole a un partito di sinistra e un 24% orientato su un partito riformista.

"Capisco che questa fase storica possa richiedere un profilo più marcatamente di sinistra" ammette. Ma aggiunge: "Dentro questo contesto io cerco di dar voce a quel quarto di partito che si riconosce nella radice riformista".

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