Roma - Renziano della prima ora e vicepresidente della Camera, Roberto Giachetti è noto per non avere peli sulla lingua. Neanche quando si tratta di criticare i suoi compagni di partito.
Onorevole Giachetti, non le è piaciuta l'esultanza con cui autorevoli dirigenti del Pd, da Luca Lotti a Debora Serracchiani, hanno salutato la rottura del famoso Patto del Nazareno. Perché?
«Lo considero un comprensibile fallo di reazione. Ma il fatto che lo ritenga comprensibile non vuol dire che lo ritenga giusto, anzi penso sia uno sbaglio».
In che senso?
«Il valore del Patto del Nazareno non sta nei numeri: quelli ce li avevamo prima come ora. Il suo valore è di aver davvero cambiato verso dopo anni di guerra civile nella politica. Il valore di quel patto è tutto politico, vorrei dire formativo, una sorta di lezione di educazione civica».
Non sta esagerando?
«Secondo lei riportare l'Italia alla normalità sostituendo la politica del nemico da abbattere, magari confidando nella via giudiziaria, con quella dell'avversario politico da combattere è poco? Dividersi sulla politica di governo ma decidere di allargare la partecipazione alla definizione delle regole all'opposizione le sembra un'inversione di rotta da nulla? Grazie a quel Patto abbiamo sbloccato anni di scontro ideologico, ottuso antiberlusconismo contro vieto anticomunismo, che hanno prodotto solo immobilismo e paralisi. Ora siamo ad un passo e non possiamo buttare a mare tutto il lavoro fatto limitandoci a portare a casa a maggioranza le riforme».
Ma l'aria che tira sembra questa.
«No, non credo. Sarebbe la mortificazione di quel valore di cui parlavo prima. Vi sono stati problemi? Abbiamo il dovere di risolverli. Incomprensioni? Ci si chiarisca. Ciascuno si assuma la responsabilità e l'urgenza di non gettare al vento un tratto di strada nella direzione giusta di cui l'Italia ha un fottuto bisogno».
Ma Fi sostiene che è Renzi ad aver tradito il Patto.
«Questo non credo proprio. Il Patto del Nazareno, nonostante in molti, anche in casa nostra, lo abbiano caricato di tante cose magari proprio per farlo saltare, è stato chiaro fin dall'inizio e comportava un accordo su riforma costituzionale e legge elettorale. Anche perché nessuno un anno fa sapeva quando Napolitano si sarebbe dimesso. Poi certo lo spirito di condivisione di un metodo non era innaturale che potesse estendersi anche all'elezione del capo dello Stato».
Quella condivisione è venuta meno, non le pare?
«Non so cosa si siano detti Renzi e Berlusconi ma da quel che ho capito vi era la condivisione del profilo della persona che avrebbe dovuto ricoprire quella carica e penso che il nome di Mattarella corrispondesse perfettamente al profilo concordato. E infatti non ho letto alcuna dichiarazione di esponenti di Fi che ne mettessero in discussione la qualità e l'adeguatezza. Quanto al metodo non siamo all'asilo, abilitati a fare i capricci. Un nome, una terna, una cinquina... In politica ci vuole anche un po' di lucidità e di freddezza, non si può sempre reagire d'istinto anche perché poi si rischiano errori colossali».
Quali?
«Quello di votare scheda bianca motivando la scelta per una questione di metodo. Mi sembra un atteggiamento puerile e privo di lucidità. Se io fossi stato Berlusconi avrei detto: ok Renzi, Mattarella va bene però siccome deve essere un nome di tutti lo eleggiamo al primo scrutinio dove i nostri voti sono determinanti per raggiungere il quorum. Sarebbe stata, a mio avviso, una scelta perfetta. Quello che avrebbero dovuto e potuto fare anche i 5 Stelle».
Sta di fatto che ora riforma costituzionale e legge elettorale rischiano di essere votate solo dalla maggioranza, con la minoranza Pd che avrà più gioco a ricattare Renzi.
«Distinguiamo: la legge elettorale non credo sarà cambiata, e qualsiasi cambiamento non credo che sarebbe un bene per Forza Italia. Per quanto riguarda le riforme costituzionali, una volta che torneranno al Senato vedremo. Le faccio presente che alla Camera l'apporto numerico di Fi è relativo, una parte del gruppo vota sistematicamente contro e della parte restante una metà è assente, l'altra vota a favore».
Quindi secondo lei Forza Italia è irrilevante?
«No, affatto. Proprio perché il problema non è numerico quello che vale e che va preservato è il valore politico.
Mi riviene in mente la metafora calcistica nel discorso di Mattarella: io sarò arbitro ma i giocatori mi diano una mano. Ecco, ripartiamo da qui e finiamo dove ci eravamo ripromessi. Lo dobbiamo alla gente tutta di destra, di centro e di sinistra che per anni è stata illusa e che ora si attende dalla politica uno scatto d'orgoglio».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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