La fase due del Pd inizia con la fine del Conte bis. I dem sono pronti a chiudere la collaborazione di governo con l'avvocato del popolo. Prima fanno circolare il nome del ministro della Cultura Dario Franceschini per la guida di un nuovo esecutivo. Ora è il turno del ministro della Difesa Lorenzo Guerini per il dopo Conte. Dal Nazareno partono segnali inequivocabili verso l'inquilino di Palazzo Chigi: il tempo è scaduto.
La manovra per cacciare l'avvocato dalla guida del governo è partita. Confortati dai sondaggi (in leggera risalita dopo la disfatta alle ultime elezioni politiche) la tentazione tra i dem di dare il benservito al premier che li ha riportati alla guida del Paese è fortissima. Conte fiuta l'aria di congiura e si difende con una doppia mossa: la convocazione (senza l'ok del Pd) degli Stati generali e le veline sulla nascita del partito personale che arriverebbe al 14 %. Sulla seconda opzione (la formazione di un partito contiano), il presidente del consiglio corregge il tiro: «Ora sarebbe una follia». Ma tiene sul tavolo la minaccia. Nel Pd però la fase due è decollata: si ragiona sull'ipotesi di governo senza Conte. E sono due i motivi: tutte le prime linee dem (eccezione per Dario Franceschini) sono fuori dall'esecutivo e poi la constatazione che Conte non sia all'altezza di guidare l'Italia nella fase post-Covid. Nel Pd l'unico scettico sull'opzione di un nuovo esecutivo (senza Conte) è Goffredo Bettini, voce molto ascoltata dal segretario Nicola Zingaretti (nel tondo). La tesi di Bettini è che i cinque stelle rischierebbero l'implosione con la nascita di un terzo esecutivo. Il lodo Bettino si poggia su un maxi-rimpasto con tutti i big del Pd al governo. Partendo, però, dalla riconferma dell'avvocato del popolo.
Al netto della posizione di Bettini, Pd e Conte si beccano di continuo. Giovedì sera il Consiglio dei ministri di giovedì è stato il teatro della resa dei conti. Il pressing dei dem su Conte è stato esplicito. Il ministro Franceschini ha incalzato il capo dell'esecutivo sul caso Regeni e sulla modifica dei decreti sicurezza: sono due nervi scoperti che mettono in affanno Conte. L'obiettivo è creare l'incidente di percorso per aprire la crisi. E i decreti Salvini (votati dai Cinque stelle) potrebbero essere il casus belli. Per il Pd - molti dossier camminano a rilento: da Alitalia a Ilva. Franceschini ha incassato l'impegno di Conte e della ministra dell'Interno, Luciana Lamorgese, a portare sul tavolo del governo la modifica dei decreti sicurezza. C'è il Piano nazionale per le riforme a cui sta lavorando il ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, per arrivare a un pacchetto organico di provvedimenti entro il mese di ottobre. Mentre nella giornata di ieri, dal fronte dem è ripartito il bombardamento contro gli Stati Generali, l'iniziativa che dovrebbe rilanciare Conte che ora rischia di essere la festa di addio. «Dagli stati generali ci aspettiamo visione e concretezza. Questa è l'occasione di dire basta e fare delle cose coraggiose», commenta Walter Verini, membro della segreteria nazionale del Pd in un'intervista rilasciata nel programma Gli Inascoltabili. Dalle pagine del Dubbio - Andrea Marcucci, capogruppo del Pd a Palazzo Madama, è netto: «Questo deve essere il momento della concretezza».
L'unica certezza: il Pd si è stufato di Conte. Ma non farà la prima mossa. Si aspetta l'incidente di percorso. Che potrebbe essere (oltre i decreti sicurezza) l'inchiesta della Procura di Bergamo sulla mancata rossa ad Alzano Lombardo e Nembro.
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