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Il Pd svela le carte: Letta a Palazzo Chigi. Ma quando ci arrivò furono gli stessi dem a mandarlo a casa

A Enrico Letta piace stupire come i vecchi prestigiatori che facevano sparire fazzoletti, orologio, portafogli e colpo dei colpi qualcuno del pubblico

Il Pd svela le carte: Letta a Palazzo Chigi. Ma quando ci arrivò furono gli stessi dem a mandarlo a casa

A Enrico Letta piace stupire come i vecchi prestigiatori che facevano sparire fazzoletti, orologio, portafogli e colpo dei colpi qualcuno del pubblico. Si dice per esempio, e Letta lo dice: «Esistiamo soltanto noi e la Meloni: dunque dovete scegliere fra lei e me. E poiché lei rappresenta il fascismo mentre noi siamo l'antifascismo, giochiamo a carte scoperte». In realtà si tratta, come ognuno può vedere, di un quadro puerile e triste. Sono carte taroccate perché fa l'effetto di un alibi, anche se interessante, rinfacciarsi le origini e i milioni di morti di un tempo, il cui male sbiadisce di fronte a quello dei nostri giorni. E che cosa sa fare Letta per proporsi come capo del futuro governo? Rilanciare una novità: la lotta tra fascismo e antifascismo. Complimenti.

Ora, sarebbe leale che qualcuno avvertisse il pensoso Letta che non siamo da qualche trentennio in un campo di battaglia della guerra civile. In cui giocano fascisti e comunisti. Letta dirà che lui non è e non è mai stato comunista il che è tecnicamente vero, ma è altrettanto tecnicamente vero che i suoi avversari del centro-destra non sono i fascisti. Ognuno dei partiti che provengono tutti dalle stramaledette ideologie, ha intrapreso da decenni il suo percorso penitenziario. E quelli che sono nel Pd di oggi e hanno ottanta o più anni, sanno di provenire anche loro da una lunga marcia dall'autoritarismo, dalle dittature e dai regimi stragisti alla democrazia liberale, che non è esattamente la «democrazia-e-basta» spoglia di ogni aggettivo.

Lo stesso dicasi per la Meloni che fa cento passetti avanti ma proprio non riesce a staccarsi dalla discutibile coperta di Linus, si tiene sul simbolo la fiamma del fuoco fatuo acceso sulla bara del Duce. Perché ce lo tiene? Per lo stesso motivo per cui il Pd, quando deve scegliere fra democratici liberali e democratici illiberali, sceglie questi ultimi, come ha fatto adottando come fratelli i qualunquisti eversori dei Cinque Stelle.

Gli stessi che Letta si è tenuto abbracciati e legati con lo scotch, finché non è stato mandato nel celebrato empireo detto «vaffa», dal capo Conte, avvocato Giuseppe che ha scambiato la politica col bullismo. I Cinque Stelle sono quelli che volevano aprire il Parlamento «come una scatola di tonno», come gli assalitori americano di Capitol Hill (la sede del congresso e del Senato) il 6 gennaio del 2021), ora in galera o in attesa di giudizio.

Chi difende la Costituzione non mescola i propri tratti genetici con gli eversori che hanno come piano quello di distruggere il Parlamento e il parlamentarismo: chi difende la democrazia, difende il Parlamento a costo di prendersi qualche pomodoro in faccia. E invece il Pd proprio quello di Letta - ha costruito la sua lega con gente che può essere oggi vista come se fosse formata da due famiglie: quelli che non hanno mai capito le idiozie che dicevano, e quelli come Di Maio che hanno iniziato il loro percorso di ravvedimento. Non si illuda quindi Letta se pensa di poter proporre all'elettorato italiano un quadretto edificato e edificante in cui si combatte con tardiva foga una guerra civile che non c'è.

E poi c'è qualcos'altro che non torna nell'intervista doppia che il segretario Pd lascia sia a Repubblica che alla Stampa: ma scusate, Enrico Letta non era stato quel segretario che fu messo alla porta dal suo stesso partito per le sue numerose e continue prove di scarsa capacità politica? A noi non interessano gli affari interni dei partiti, ma ci sembra scoppiettante di ottimismo una candidatura già rottamata dal suo partito. Si dirà: ma quello era stato Renzi. E appunto. Era l'epoca del Renzi sulla cresta dell'onda e tutti ricordiamo che cosa vuol dire da allora in italiano l'espressione «stai sereno».

Chi la mette ancor più sul sottile, nel senso dell'incomprensibile, è il ministro del lavoro Andrea Orlando che cerca di far stare insieme cose che respingono fra loro: teme, un uomo pietoso, dice di temere non una nuova guerra antifascista ma una guerra fra piddini e pentastellati per regolamenti di conti interni: non sparate sul pianista Conte, perché il direttore del piano bar, Letta, ha bisogno di tutti i pezzi. Al tempo stesso bisogna stringersi a corte perché Fdi chiamò.

Ed ecco la solita logica binaria, o binario morto, per cui questa campagna elettorale avrebbe come scopo quello di fare i dispetti alla Meloni evitando di confrontarsi con i principi liberali.

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