Non sono i governi, e neppure i potentissimi hedge fund che hanno elevato la speculazione ad arte: i veri Grandi Burattinai dei mercati finanziari sono sempre più le banche centrali. Certo non è una notizia, ma ieri se ne è avuta l'ennesima conferma davanti allo spettacolare rimbalzo delle Borse dopo il nubifragio di lunedì, quando le fosche prospettive dell'economia cinese avevano scatenato la corsa a sbarazzarsi dei titoli azionari come se non ci fosse un domani. È bastato il triplo colpo di bacchetta magica dato dalla People's Bank of China, la longa manus finanziaria di Pechino: con un taglio dei tassi dello 0,25% (il quinto dallo scorso novembre), combinato a un alleggerimento delle riserve bancarie e all'ormai canonica iniezione di liquidità da 150 miliardi di yuan (23,4 miliardi di dollari), è passata la paura ed è ripartita l'orgia degli acquisti.
Un banchetto di massa con un solo assente, la Borsa di Shanghai, crollata di un altro -7,63%. È stato proprio a causa dell'ennesimo terremoto che le autorità del Dragone hanno deciso di rompere ogni indugio, comunicando a mercati orientali ormai chiusi i nuovi stimoli monetari. La mossa ha invece avuto immediato effetto in Europa, dove Milano, con un guadagno del 5,86% e un recupero di 1.200 punti dell'indice principale, ha sostanzialmente chiuso la voragine che si era aperta durante il black moday, mentre lo spread tra Btp e Bund tedeschi si è raffreddato a 123 punti. Bene anche Francoforte (+4,97%), Parigi (+4,14%), Londra (+3,09%), così come Wall Street (+1,4% alle 20 ora italiana).
Insomma: una rimozione collettiva delle paure con cui solo 24 ore prima si agitavano a ogni latitudine spettri alla Lehman Brothers. Ovviamente, nulla è cambiato dal fronte orientale: la crescita cinese sarà quest'anno stentata rispetto ai ritmi abituali (+7% ad andar bene, +3-4% stimano i pessimisti); l'export beneficerà solo in parte dei tre round di svalutazioni dello yuan; poi c'è un problemino (sottovalutato, finora) di debito, schizzato dai 7mila miliardi di dollari nel 2007 ai 28mila del 2014 (il 282% del Pil), secondo uno studio della società di consulenza McKinsey. Ma tutto ciò conta poco finchè viene aumentata la dose della moneta facile in circolazione. Non c'è nessun metadone in giro capace di disintossicare chi ormai è abituato all'azzardo morale. Anzi: di droga se ne pretende sempre di più. E le banche centrali sono pronte a svolgere quel ruolo di pusher che viene richiesto. Sentite Vitor Constancio, vicepresidente della Bce: «Siamo pronti a usare tutti gli strumenti disponibili entro il nostro mandato per far fronte a cambiamenti sulle prospettive d'inflazione». Traduzione: il piano di acquisti di titoli pubblici (60 miliardi al mese fino ad almeno il settembre 2016) potrà essere ampliato, se sarà necessario. Un'eventualità peraltro non esclusa a suo tempo anche dal numero uno dell'Eurotower, Mario Draghi.
Non serve invece nessuna interpretazione dei desiderata dell'ex ministro del Tesoro Usa, Larry Summers, e di Ray Dalio, numero uno di Bridgewater Associates, il più grande hedge fund del mondo: le prossime mosse della Fed, non solo non saranno un rialzo dei tassi entro la fine dell'anno ma dovrebbero essere un rafforzamento del quantitative easing e cioè una nuova iniezione di liquidità, tramite l'acquisto di bond. Il motivo? Smussare le tensioni sui mercati finanziari e combattere la deflazione. Come si vede, dopo ben tre tornate di Qe (per tacere delle misure prese dopo il virus dei mutui subprime) c'è ancora bisogno di una stampella per Wall Street e per riaccendere l'inflazione.
Poco importa se il mondo dell'allentamento quantitativo perenne ha decretato la morte del mercato obbligazionario (creando qualche grattacapo, per esempio, ai fondi pensione) senza essere finora mai riuscito a portare veri benefici all'economia reale.È il rapporto debito-Pil in Cina. Il debito cinese è salito nel 2014 a 28mila miliardi di dollari
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