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Pedofilia, Pell va in prigione. E adesso il Vaticano si spacca

Tolta la libertà su cauzione all'ex braccio destro del Papa La Santa Sede revoca l'incarico, molti prelati lo difendono

Pedofilia, Pell va in prigione. E adesso il Vaticano si spacca

Revocata la libertà su cauzione: il cardinale George Pell, ex prefetto della Segreteria per l'Economia e braccio destro di Papa Francesco, finisce in carcere. Prima notte in cella per il porporato australiano dopo la condanna per abusi sessuali su minori commessi, secondo l'accusa, quando era vescovo a Melbourne alla fine degli anni '90. Il primo cardinale a finire in carcere per abusi si trova ora in una cella singola in una prigione di Melbourne, in attesa della sentenza prevista per il 13 marzo che stabilità l'esatta misura della pena.

È stato anche confermato che i cinque reati di cui il cardinale è stato dichiarato colpevole sono cinque gli episodi commessi nei confronti di due chierichetti (di 12 e 13 anni) - comportano una condanna massima di dieci anni ciascuno. Per questo, il cardinale Pell rischia fino a 50 anni di reclusione. Intanto il Vaticano ha annunciato due nuove misure: la prima con un insolito Tweet, alle 21.20 di due giorni fa, del direttore «ad interim» della sala stampa della Santa Sede, Alessandro Gisotti, in cui si confermava che Pell «non è più prefetto della Segreteria dell'Economia». In realtà il quinquennio del suo mandato era scaduto il 24 febbraio e in molti si sono domandati come mai l'annuncio fosse arrivato proprio nella giornata in cui Pell era stato dichiarato colpevole. E con un Tweet, peraltro serale.

La seconda notizia riguarda l'apertura del procedura canonica, autonoma dal processo civile, che potrebbe concludersi, se le accuse fossero verificate, con la rimozione della porpora, l'esclusione dal Collegio cardinalizio, fino alla dimissione dallo stato clericale.

«La Congregazione per la Dottrina della Fede si legge in una nota del Vaticano - si occuperà ora del caso nei modi e con i tempi stabiliti dalla normativa canonica». Il Vaticano comunque si muove in punta di piedi e l'attendismo è la linea guida. «Vedremo l'esito del processo d'appello, Pell ha ribadito la sua innocenza», dice un monsignore. «Un chiaro attacco al Papa e alla sua riforma, visto che Pell è stata una delle sue prime nomine», gli fa eco un altro prelato. Insomma nei sacri palazzi regna l'incredulità e in non pochi parlano di «complotto» contro Bergoglio.

«Ricordiamo il caso dell'arcivescovo di Adelaide, monsignor Wilson, condannato in prima istanza e poi assolto», afferma monsignor Hans Zollner, tra i promotori del summit sulla tutela dei minori in Vaticano. «È la parola di una persona contro quella di Pell - affermano ancora - dove sono le prove? Il secondo chierichetto è morto per overdose e in vita non ha mai sollevato il caso. Contro Pell c'è una campagna avversa e la prima giuria chiamata a decidere sul caso non ha raggiunto alcun verdetto e si è dimessa. Pell ha molti nemici, dentro e fuori il Vaticano, perché voleva una riforma totale delle finanze della Santa Sede. È un capo espiatorio».

Insomma i dubbi permangono, ma sia il processo canonico che quello penale andranno avanti. Il Papa vuole vederci chiaro.

Intanto l'avvocato del porporato australiano, Robert Richter, ha affermato che uno dei reati «non era più che di un semplice episodio di prenetazione sessuale». Dichiarazione choc, fatta per ottenere una condanna meno grave, sostenendo che il porporato non doveva rispondere di «circostanze aggravanti» ed era stato probabilmente «preso da un impulso irresistibile», secondo quanto riferito dal quotiniano britannico Guardian. Il 13 marzo arriverà la sentenza.

Intanto Pell resta in carcere, così come i dubbi sulla sua colpevolezza.

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