Pegasus, Prodi spiato. I sospetti sul Marocco

L'ex premier nel mirino nel 2012. Nella rete pure il presidente del Consiglio Ue Michel

Pegasus, Prodi spiato. I sospetti sul Marocco

L'ex premier italiano e presidente della Commissione europea, Romano Prodi, è finito nella rete di Pegasus, «il super trojan israeliano», come lo chiama un addetto ai lavori del mondo cyber. Il suo telefonino sarebbe stato hackerato o meglio controllato completamente, senza che Prodi se ne accorgesse, probabilmente quando era inviato speciale dell'Onu per il Sahel nel 2012. Nonostante le secche smentite del Marocco, potrebbero essere stati proprio gli efficienti servizi del regno a utilizzare il sistema venduto da Nso group. «I privati migliori al mondo in questo settore», sostiene la fonte del Giornale nella cyber sicurezza.

La rivelazione su Prodi arriva dal Washington post, che ha chiamato il fondatore dell'Ulivo sul numero di telefono che sarebbe stato «penetrato». Il grande vecchio del centro sinistra ha risposto, pur non volendo commentare la notizia. Il numero fa parte di una lista di 50mila utenze che viene passata ai raggi X da Forbidden stories, un'organizzazione giornalistica no profit francese. Assieme ad Amnesty international e a un cartello di 17 testate internazionali, la squadra investigativa ha individuato 600 politici e 189 giornalisti oltre ad attivisti politici e dei diritti umani spiati grazie a Pegasus in tutto il mondo. Oltre a Prodi è venuto fuori che pure il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, aveva il cellulare sotto controllo quando era primo ministro in Belgio. Anche uno dei telefoni del presidente francese Emmanuel Macron sarebbe stato violato, come quello del capo di stato sudafricano Cyril Ramaphosa. Pure gli attuali primi ministri di Pakistan, Egitto e il re del Marocco sarebbero finiti nel mirino di Pegasus.

I fondatori della start up israeliana Nso, che da almeno dieci anni vende Pegasus aggiornandolo ai nuovi sistemi dell'I-Phone e del sistema Android, sostengono che le 50mila utenze «è un elenco di numeri che chiunque può cercare sulle fonti aperte». Gli acquirenti di Pegasus sono sopratutto Arabia Saudita, Emirati Arabi, India, Messico, Ruanda e Marocco.

L'unica nazione della Ue al momento finita nel mirino dell'inchiesta è l'Ungheria, che avrebbe «bucato» i cellulari di giornalisti scomodi. I fondatori israeliani Shalev Hulio e Omri Lavie negano qualsiasi illecito e sostengono che Pegasus è stato venduto con regolare autorizzazione dello stato ebraico «a governi stranieri per controllare e combattere il crimine e il terrorismo». Secondo l'addetto ai lavori «sono venuti a fare dimostrazioni anche in Italia. Tutti avrebbero voluto Pegasus, ma i budget della Giustizia o dei servizi segreti erano incompatibili con i loro prezzi». Gli agenti informatici di Nso chiedevano agli interlocutori di fornire un qualsiasi numero di telefonino e in 30 secondi avevano il cellulare totalmente sotto controllo. «Dopo quella che in gergo si chiama inoculazione, la vera forza è la scalata degli accessi per prendere il controllo di tutto, dalla fotocamera alle app come quella bancaria senza che l'utente si accorga di nulla» spiega la fonte del Giornale. Super tecnologia che arriva dal mondo militare israeliano lanciata sul mercato a 8-10 milioni di dollari a contratto anche per un probabile «dual use». Il sospetto è che Pegasus serva pure all'intelligence israeliana per carpire informazioni grazie agli stessi acquirenti.

Non a caso in uno dei contratti venuto alla luce è tassativamente proibito spiare israeliani o americani.

Nel 2014, ben prima dello scandalo, uno dei fondatori della società spiegava a una rivista militare: «Sull'obiettivo (il cellulare nda) non lasciamo tracce. Siamo dei fantasmi».

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