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Peggy, eroina dimenticata del 25 aprile

È l'unica soldatessa inglese. Era un'infermiera. E una dottoressa ne ha scoperto la storia

Peggy, eroina dimenticata del 25 aprile

Peggy ha i capelli ricci, rossi come quelli della mamma, e sempre un sorriso per tutti anche quando avrebbe solo voglia di piangere. É una ragazza di buona famiglia, nata e cresciuta in un paesino, Godalming, contea del Surrey, 60 chilometri a sud-ovest della capitale, ma appartiene alla Londra bene: suo papà, Thomas Perceval Fielden insegna Tecnica della musica alla Royal College of Music ed è un pianista di fama, la mamma Edith Stapley è violinista, così bella e aristocratica da posare come modella per i pittori raffaeliti. Peggy è una ragazza semplice ma che sa il fatto suo, uno spirito libero ma dai sentimenti forti. Ha 22 anni quando scoppia la seconda guerra mondiale. E sa già cosa deve fare.

Ma fino a ieri Margaret Helen Fielden detta Peggy era un fantasma, l'unica donna tra le 421 vittime della guerra, sepolta al cimitero militare di Trenno, in provincia di Milano, l'unica civile tra ragazzi, britannici, australiani, neozelandesi, canadesi, sudafricani, venuti a combattere qui e mai tornati a casa. Ventisette di loro senza nome, «sconosciuti ma non a Dio». La sua tomba è in una delle prime file, verso il centro del cimitero, nessuno in più di settant'anni, ha cercato di sapere chi fosse quella ragazza venuta da lontano per portare la libertà. E chi ci ha provato è andato a sbattere contro un muro di gomma. Fino a quando per caso, o per destino, Silvia Alineri, medico, dirigente di Radiologia all'Ospedale Luigi Sacco, una figlia che studia Criminologia, non l'ha incontrata e voluta conoscere. Silvia combatte la nuova guerra, nella trincea del Covid, «ne ho visto tanti andare via, senza poter fare niente, senza accanto nessuno» anche lei, come Margaret ha visto cadere e morire uomini e donne, anche lei ha preso il Covid a ottobre. Ma lo ha vinto. Peggy invece non è sfuggita al suo assassino virale, la poliomelite, nascosto tra i feriti che curava: il vaccino sarebbe arrivato solo nove anni dopo la sua morte. «Non toccate i morti, così rossi, così gonfi: lasciateli nella terra delle loro case: la città è morta, è morta» scriveva Salvatore Quasimodo di quella Milano di guerra. Silvia, per quattro anni, ha cercato tracce di questa sua «gemella diversa» che avrebbe l'età della nonna, «il mio angelo custode» dice, scortata con amore dai consiglieri di zona Tiziana Vecchio e Walter Moccia. E così ecco uscire dalle nebbie della Storia i capelli rossi e il sorriso luminoso di Margaret, che aveva scelto di donare la vita al prossimo nonostante la vita privilegiata. Nata il 3 giugno 1917 a Godalming, entra a far parte del corpo infermiere e fisioterapiste dell'Ospedale St Nicholas di Pyford, nel Surrey: è una delle prime specializzate della cure a ultrasuoni. Poi entra nella Chartered Society of Physiotherapy e da lì, volontaria, aggregata al 64th British General Hospital, unità medica alleata in Africa e Italia. Ama l'alpinismo, girare il mondo, non ha legami e non vuole averne. Ha una sorella più grande, Katherine, e un fratello più piccolo, Richard. ma quando muore lascia un piccolo tesoretto, mille sterline, al padre. Nessuno la riporterà in patria tantomeno lui che morirà a 91enne nel 1974. Peggy se ne va a 28 anni, il 29 settembre 1945, a guerra ormai finita nell'ospedale da campo. Sola come quando è arrivata e da quel giorno dimenticata, ma eterno simbolo di libertà.

Silvia le porta i fiori ogni compleanno, poi va di nuovo in trincea con chi muore: le fermate migliori della vita sono le persone speciali.

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