Pena lieve per lo stupro. Un voto manda a casa il giudice della vergogna

California, cacciato il magistrato debole con l'aggressore. Al suo posto eletta una donna

Pena lieve per lo stupro. Un voto manda a casa il giudice della vergogna

Rimosso con un voto popolare dal suo incarico di giudice della contea di Santa Clara, in California, per aver emesso una sentenza troppo debole nei confronti di uno stupratore. Sostituito da una donna, Cindy Hendrickson, ex studentessa nell'ateneo del violentatore, diventata oggi una procuratrice di fama anche per il numero record di reati sessuali perseguiti.

Non accadeva da oltre ottant'anni che un giudice fosse cacciato a furor di popolo nello Stato americano in cui, oltre ai politici, anche chi amministra la giustizia locale viene eletto dai cittadini e può, per questo, essere rimosso dal proprio incarico (l'ultimo caso risale al lontano 1932). Ma il vento è cambiato negli Stati Uniti e non solo dopo lo choc per lo scandalo Weinstein (il produttore accusato di violenze e molestie da oltre 80 donne e ora alla sbarra per stupro a New York). L'indignazione popolare è salita alle stelle contro Aaron Persky, giudice dell'area stretta tra San Francisco e la Silicon Valley, ancora prima del terremoto provocato dal #metoo (letteralmente «anche io»), il movimento con cui milioni di donne nel mondo hanno raccontato di aver subìto molestie e violenze. Il casus belli è del 2016, l'anno in cui il giudice Persky emette la sentenza ai danni di Brock Turner, ex nuotatore della Stanford University che all'età di vent'anni - è il 2015 - stupra una ragazza, incosciente a causa dell'alcol, nel campus di Palo Alto. La legge prevede almeno due anni di carcere, lo stupratore potrebbe essere condannato a 14 ma il giudice adotta la «clemenza» che le norme gli concedono, sostenendo che il ragazzo abbia già sofferto per l'attenzione mediatica subìta e che l'alcol lo ha reso «meno colpevole moralmente». Turner se la cava con una condanna a sei mesi di carcere, di cui finisce per scontarne appena tre. Ma nel frattempo esplode la rabbia popolare, anche perché il caso apre una lunga serie di denunce di abusi, molestie e violenze alla Stanford University e in vari altri campus mentre la vittima diffonde una dichiarazione di dodici pagine che commuove la California e mezza America. La ragazza racconta lo choc per non aver capito nemmeno cosa le fosse successo, lo stress di doverlo raccontare al fidanzato, i test dell'Aids a cui ha dovuto sottoporsi, le domande a cui ha dovuto rispondere al processo («Com'eri vestita?»; «Quando hai urinato?»; «Dove hai urinato?»; «Sei seria con il tuo fidanzato?»; «Sei sessualmente attiva con lui?»). E poi la voglia di «liberarmi del mio corpo come una giacca e lasciarlo in ospedale con tutto il resto», l'impossibilità di dormire senza una luce accesa dal giorno dello stupro.

Da allora, quattro mesi prima dello scandalo Weinstein, a farsi portavoce dell'indignazione generale è una docente della Stanford University, Michele Landis Dauber, amica di famiglia della vittima, che stigmatizza le dichiarazioni del padre dello stupratore, capace di definire in una lettera la violenza sessuale «un'azione di venti minuti» che sarebbe costata al figlio un prezzo troppo alto. Scatta la raccolta firme. Ne servono 90mila, per chiedere di anticipare l'elezione di un nuovo giudice (il mandato di Persky scade nel 2022) mentre nel frattempo la California cambia la legge sulle violenze ai danni di vittime incoscienti. Il voto è una condanna senza appello al giudice troppo morbido.

«Abbiamo votato contro l'impunità - dice la promotrice della protesta - La violenza sessuale è una cosa seria e anche i nostri ufficiali eletti devono prenderla seriamente». Non tutti però sono d'accordo. E il grande accusato li rappresenta: «I giudici devono rispondere alla legge e non all'opinione pubblica», dice Persky. Ma il vento è cambiato. Per lui, ormai è troppo tardi.

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