Pena scontata, Franzoni torna in libertà

Condanna a 16 anni per l'omicidio del figlio Samuele, ridotta a 11 per indulto e benefici

Pena scontata, Franzoni torna in libertà

La sua telefonata, drammatica e isterica, al 118 fece il giro d'Italia. E il suo volto, le sue lacrime, i suoi inquietanti fuorionda - «come sono andata?» - inondarono giornali e tv per mesi come non si era mai visto. Innocentisti e colpevolisti: l'Italia spaccata in due e incollata a questa pagina di cronaca nera. Ora Annamaria Franzoni è libera: la pena è stata scontata, l'omicidio di Samuele Lorenzi, un bambino di soli tre anni, va in archivio per quanto possa finire in un cassetto una tragedia che ha sconvolto l'Italia.

Era il 30 gennaio 2002 quando la villetta di Cogne apparve per la prima volta nei telegiornali, diventando poi una presenza fissa nei talk, con corredo di plastici, disegni, ricostruzioni. Alle 8.28 la Franzoni chiama il 118. Urla, spiega, chiede aiuto: suo figlio Samuele vomita sangue. Per prima arriva sul luogo la dottoressa Ada Satragni che immagina un implausibile aneurisma e presta i soccorsi al piccolo. Ma Samuele sta morendo, con la testa spappolata da un oggetto che non verrà mai trovato. Cosi come Annamaria non confesserà mai ie continuerà a proclamarsi innocente. I carabinieri sospettano immediatamente la madre che quel giorno dice al marito un'altra frase che farà discutere l'Italia: «Mi aiuti a fare un altro figlio?».

Parte l'inchiesta, inizia la guerra delle perizie e delle controperizie, il procedimento straborda in tutto il Paese. Anche perchè sulla scena compare un avvocato supermediatico, il professor Carlo Taormina.

Samuele è stato ucciso nel lettone matrimoniale, ma quando? La madre si è assentata per otto minuti, il tempo necessario per accompagnare l'altro figlio allo scuolabus. Forse qualcuno è entrato, ma non si trova nulla che avvalori questa pista. Più facile immaginare che la mamma, per ragioni insondabili da cercare nella psiche, abbia in un momento di eclissi colpito con furia il figlioletto che piangeva a dirotto. Contro di lei c'è una prova quasi insuperabile: chi ha ammazzato Samuele indossava il pigiama di Annamaria che poi, però, è andata mano nella mano dell'altro figlio, in perfetto ordine, alla fermata del bus.

Un giallo elementare ma anche un rompicapo. Con trasmissioni su trasmissioni, dirette fiume, polemiche e scintille.

Alla fine, la Franzoni viene condannata in primo grado a 30 anni, schivando l'ergastolo solo per la scelta del rito abbreviato. In appello la concessione delle attenuanti generiche porta a un dimezzamento della pena: 16 anni. Confermati dalla Cassazione. Sedici anni per il massacro del proprio bambino paiono pochi ad un'opinione pubblica disorientata, ma questi sono i numeri. Ancora più ridotti perchè la prigionia si riduce sul campo a circa 11 anni, di cui 5 in detenzione domiciliare, sfruttando il doppio bonus della liberazione anticipata e dell'indulto. Il tribunale di sorveglianza di Bologna premia la buona condotta e mette i titoli di coda a una storia durata anche troppo a lungo.

Annamaria aveva già ripreso a lavorare in una coop fra le montagne dell'Appennino bolognese e si dedicherà al marito Stefano, sempre solidale con lei, e ai due figli, l'ultimo nato un anno dopo il delitto.

«La Franzoni - spiega l'avvocato Paola Savio prese il posto di Taormina - ora spera nell'oblio per se e per la famiglia». «Voglio far capire che sono innocente» fa sapere lei, appena libera. Sarà difficile dimenticare un massacro che ha ipnotizzato milioni di persone. E il pianto di quella donna enigmatica: perfida assassina per la giustizia, vittima indifesa di un oscuro complotto per tanti altri.

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