Penati assolto, insabbiato il «sistema Sesto»

In due minuti azzerati 4 anni di indagini e processi all'ex braccio destro di Bersani

Milano Due anni di indagini e due anni di processo sulla «pista rossa» delle tangenti si inabissano in due minuti: quelli che bastano a Giuseppe Airò, presidente del tribunale di Monza, per leggere la sentenza che assolve da tutte le accuse Filippo Penati, l'uomo che per un oltre decennio ha incarnato il potere diessino in provincia di Milano, che è stato braccio destro di Pier Luigi Bersani e che il Pd scaricarono con ignominia quando la Procura di Monza partì all'attacco contro di lui. Di quell'attacco oggi resta ben poco: insieme a Penati vengono assolti tutti i suoi coimputati. Per i giudici il «sistema Sesto», la rete di rapporti occulti, di tangenti e contributi illeciti che da Sesto San Giovanni Penati era accusato di avere portato alla Provincia di Milano, finanziando così non solo le sue campagne elettorali ma quelle dell'intero partito, esisteva solo nelle accuse dei «pentiti». Dice Penati, visibilmente emozionato: «È stata fatta giustizia. Non sono corrotto e non ho mai fatto nulla di contrario ai doveri della pubblica amministrazione. Sono stato vittima di una grande ingiustizia che e durata 4 anni e mezzo: non esistevano riscontri esistevano, soltanto delle chiacchiere».Di fronte ad una simile, siderale distanza tra le tesi della pubblica accuse, che aveva chiesto la condanna di Penati a quattro anni di carcere per corruzione e finanziamento illecito, e la conclusione del processo, diventa ancora più necessario del solito attendere le motivazioni della sentenza per capire cosa sia accaduto. È vero che le accuse più esplicite lanciate contro Penati dal suo ex amico Piero Di Caterina, e fatte proprie dal costruttore e immobiliarista Giuseppe Pasini, il re delle aree dismesse di Sesto, erano già uscite di scena, inghiottite dalla prescrizione (agevolata dalla legge Severino); e nel processo erano rimasti due episodi, le tangenti per la terza corsia della tangenziale e i servizi di trasporto della Provincia. Ma andrà capito quale spiegazione lecita i giudici daranno dei due milioni di euro che Bruno Binasco, manager del gruppo che controllava la Serravalle, gira a Di Caterina e che per la Procura costituivano la tangente destinata alle casse dei Ds; e come si sia arrivati a asfaltare anche le accuse di finanziamento illecito da cooperative e aziende private alla fondazione «Fare Metropoli», creatura di Penati.Del «sistema Sesto», nella sentenza, qualcosa in realtà sopravvive: le tangenti che Di Caterina pagò a un pesce piccolo, l'assessore Di Leva, ma che vengono anch'esse sepolte dalla prescrizione.

Poca cosa, rispetto agli scenari evocati in questi anni, e fatti propri nelle sue confessioni anche da Renato Sarno, uomo di fiducia di Penati. In aula, Sarno si è rimangiato tutto: «Ho parlato solo per uscire dal carcere, ho ricevuto forti pressioni dai pm». Chiamato a scegliere tra confessione e ritrattazione, ieri il tribunale sceglie la seconda.

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