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Penati condannato: "Questo caso giudiziario mi ha causato il cancro"

La Corte dei conti: deve risarcire 49 milioni per l'acquisto della Milano-Serravalle

L'ex presidente pd della Provincia di Milano Filippo Penati
L'ex presidente pd della Provincia di Milano Filippo Penati

«Una operazione immotivata», «mera espressione del desiderio di potenza del management di una amministrazione locale», che «fin dai suoi esordi denota spregiudicatezza, superficialità ed approssimazione nella cura dell'interesse pubblico». Questo, per la Corte dei Conti, fu l'acquisto nel 2005 da parte della Provincia di Milano del 15 percento delle azioni della Milano-Serravalle, che provocò un danno alle casse dell'ente di decine di milioni. Ora viene chiamato a risponderne l'uomo che sedeva alla testa della Provincia: Filippo Penati, l'uomo forte dei Ds a Milano, ex sindaco di Sesto San Giovanni e poi capo della segreteria del leader Pierluigi Bersani.

Penati fu travolto dall'inchiesta sul «sistema Sesto», finì sotto processo e venne assolto da tutte le accuse, compresa l'imputazione sulla Serravalle. È lui stesso a ricordarlo ieri, con la dichiarazione - per alcuni aspetti toccante - con cui reagisce alla sentenza della Corte dei conti: spiegando di vivere «in un appartamento in affitto di 55 metri quadri all'estrema periferia di Sesto della mia pensione di insegnante e di un modesto vitalizio»; «un anno fa - aggiunge - mi è stato riscontrato un cancro che non è stato ancora sconfitto. I medici mi confermano che tra le cause scatenanti del male c'è sicuramente la conseguenza della mia lunga vicenda giudiziaria».

Ma l'innocenza sul fronte penale non esclude la responsabilità contabile. Che né Penati né gli altri protagonisti dell'operazione siano materialmente in grado di risarcire il danno causato all'erario, sembrano saperlo gli stessi giudici della Corte dei conti, che riducono a «soli» 49 milioni il conto presentato loro alla fine. Nella sentenza (che ribalta l'assoluzione disposta nel 2015 dalla Corte de conti della Lombardia), i magistrati romani hanno però parole pesanti, come s'è visto, per la genesi e la gestione dell'operazione Serravalle: di cui contestano sia la necessità, che soprattutto il prezzo spropositato cui vennero pagate le azioni fino ad allora in mano al socio privato Marcellino Gavio. Nella motivazione si dipinge una operazione opaca, nata tutta all'interno del partito di Filippo Penati: «Non v'è alcun dubbio che un gruppo di amministratori abbia sostanzialmente imposto l'acquisto ai membri della giunta, certamente a quelli rimasti esclusi da ogni partecipazione in quanto appartenenti a gruppi diversi dai Ds», si legge.

La motivazione ufficiale dell'acquisto delle azioni, ovvero mantenere in mano pubblica il controllo dell'autostrada, non reggeva, perché Provincia e Comune di Milano erano legati da un patto di sindacato che impediva eventuali scalate. E quand'anche fosse stato opportuno, sarebbe stato doveroso compiere una valutazione approfondita del valore delle azioni, che invece vennero superpagate: i giudici stimano in 7 euro il valore reale, mentre Gavio incassò per ogni titolo 8,83 euro. Ed è «surreale», dice la sentenza, che non si riesca neanche a sapere chi decise il prezzo: non ne parlò la Giunta provinciale e non ne parlarono i dirigenti di Asam, la società pubblica che compì l'operazione: «e neppure avrebbero potuto prendere parte alle trattative se si tiene conto che la loro nomina precede di pochi istanti la stipula del contratto col gruppo Gavio».

La Corte contesta a Penati e agli altri di avere cercato di retrodatare il parere di un advisor che riconosceva la congruità del valore, e che invece venne fornito solo a affare fatto.

Penati e i suoi legali ricorreranno in Cassazione, ma intanto la sentenza è esecutiva: ammesso che si trovi qualcosa da sequestrare.

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