Il Pentagono chiama Wall Street

Tra le idee discusse durante l'incontro a porte chiuse spiccano schemi di finanziamento ibridi che ricordano più la Silicon Valley che il Pentagono

Il Pentagono chiama Wall Street
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Gli Stati Uniti stanno ridefinendo il modo in cui finanziano la propria potenza militare.

Con un piano da 150 miliardi di dollari, l'esercito americano ha aperto le porte ai giganti del private equity per finanziare la modernizzazione delle sue infrastrutture, delle basi e delle catene di approvvigionamento di materie prime critiche.

È il segnale più chiaro finora di una nuova fusione tra capitale privato e complesso militare-industriale, che segnerà il prossimo decennio della supremazia occidentale.

LA NUOVA ALLEANZA PENTAGONO-WALL STREET

Il progetto, ribattezzato Army Transformation Initiative, nasce da un presupposto semplice ma rivoluzionario: il bilancio federale non basta più.

Degli oltre 150 miliardi necessari per ammodernare equipaggiamenti, costruire data center e impianti per il trattamento delle terre rare, solo 15 miliardi sono coperti dal bilancio decennale dell'esercito.

Il resto arriverà dai colossi del private equity: Apollo, KKR, Carlyle, Advent e Cerberus, convocati la scorsa settimana a Washington dal segretario dell'Esercito Daniel Driscoll (ex banchiere d'investimento) e dal segretario al Tesoro Scott Bessent.

Il messaggio ai finanzieri è stato diretto: "Abbiamo bisogno di progetti concreti e di modelli di finanziamento intelligenti. Il settore pubblico da solo non ce la farà".

DATA CENTER, TERRE RARE E BASI MILITARI

Tra le idee discusse durante l'incontro a porte chiuse spiccano schemi di finanziamento ibridi che ricordano più la Silicon Valley che il Pentagono.

Le società private potrebbero, ad esempio, affittare terreni militari per costruire data center e pagare il canone in "compute", cioè potenza di calcolo, invece che in contanti.

Un modo per accelerare l'accesso dell'esercito alle tecnologie avanzate e, al tempo stesso, trasformare le basi in piattaforme digitali strategiche.

Ma il vero focus è sulle materie prime critiche.

Dopo aver acquistato una quota del 5% in Lithium Americas Corp. e del 10% in Trilogy Metals, il Pentagono ha deciso di entrare direttamente nel capitale dei produttori di rame, zinco e terre rare - come MP Materials, Graphite One, Electra Battery Materials, Lynas e Perpetua Resources.

Per la prima volta nella storia recente, Washington non agisce più da semplice garante, ma da investitore strategico, pronto a usare il capitale pubblico per assicurarsi l'accesso alle risorse necessarie alla difesa e all'industria.

IL PENTAGONO VA LUNGO SUI MINATORI

La nuova dottrina industriale statunitense è chiara: il finanziamento minerario diventa uno strumento di politica estera.

Con la Cina che controlla oltre il 70% della raffinazione globale di terre rare e metalli per batterie, Washington sta costruendo un ecosistema minerario "sovrano", dal rame artico dell'Alaska alla grafite canadese.

L'obiettivo non è solo garantire la catena di approvvigionamento militare, ma integrare la sicurezza nazionale nei meccanismi di mercato.

Il capitale privato viene così "indotto" - o, più precisamente, convinto - a considerare la difesa dell'Occidente come un investimento ad alto rendimento strategico.

DALLA GUERRA INDUSTRIALE A QUELLA FINANZIARIA

La nuova finanza militare americana segna un punto di svolta: non è più il Pentagono a bussare al Congresso per chiedere fondi, ma Wall Street a proporre soluzioni di equity, leasing e project finance per costruire la superiorità militare del futuro.

In cambio, accede a terreni federali, diritti minerari e incentivi tecnologici.

È la nascita del complesso militare-finanziario, dove l'interesse nazionale

e quello degli investitori coincidono.

In un mondo in cui la potenza si misura in tonnellate di rame e teraflop di calcolo, la difesa americana si sta fondendo con l'economia reale - e la miniera diventa il nuovo arsenale.

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