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Da Peppone alle cosche. Indagati a Brescello i due ex sindaci del Pd

Dopo i silenzi sui dem, qualcosa si muove in Emilia Romagna. I pm: "Aiuti alla 'ndrangheta"

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Qualcosa si muove, seppur lentamente. E dopo anni di coperture, immobilismo e silenzi, il parossistico assioma secondo cui la Ndrangheta in Emilia-Romagna non aveva legami con la politica inizia quantomeno a vacillare. Ed è simbolico che tutto parta proprio dalla città che ha dato i natali alla saga di Peppone e Don Camillo. A Brescello, regno della cosca calabrese dei Grande Aracri e comune sciolto per infiltrazioni mafiose nel 2016, sono stati indagati due ex sindaci del centrosinistra targato Pd. Si tratta di Marcello Coffrini (in carica dal 2014 al 2016) e di Giuseppe Vezzani (in carica dal 2004 al 2014). L'accusa è di concorso esterno in associazione mafiosa. Avrebbero avvantaggiato la cosca vergando una serie di atti amministrativi, da assunzioni ad abusi edilizi.

«In sinergia tra loro, nell'ambito di una continuità politica - si legge negli atti - contribuivano concretamente, pur senza farne formalmente parte, al rafforzamento, alla conservazione e alla realizzazione degli scopi del sodalizio 'ndranghetistico». E ancora: «Entrambi fornivano un contributo che consisteva nello svolgimento degli incarichi tutelando gli interessi del sodalizio mafioso o di alcuni esponenti (anche di vertice) rafforzando così la consorteria e consentendone l'affermazione e l'espansione sul territorio di Brescello e non solo». In sostanza, i due ex sindaci avrebbero messo in atto delle condotte protettive e omissive nei confronti dei membri del clan. «Non prendevano deliberatamente alcuna iniziativa di fronte ad accertati abusi edilizi ed occupazioni demaniali attuate da soggetti intranei al sodalizio - scrive la procura - consentivano l'affidamento di lavori pubblici a ditte della cosca, appoggiavano pratiche amministrative, interventi di natura urbanistica volti a favorire il clan e agivano per contribuire a creare all'esterno, nell'opinione pubblica, un'immagine di Francesco Grande Aracri e dei loro parenti contigui al sodalizio, quali soggetti puliti e per bene da integrare nel contesto della vita civile, il tutto per garantirsi e garantendosi nel tempo (con radici già nel mandato precedente a quello del 2004), con un tale sistematico agire, l'appoggio di bacino di elettori (non solo calabresi) controllati dal sodalizio 'ndranghetistico emiliano». In una parola sola: collusione.

Brescello rappresenta una tessera del puzzle della maxi inchiesta Aemilia sulle infiltrazioni della ndrangheta al Nord. Inchiesta che non arrivò mai al secondo livello, quello politico, a causa dell'operato del pm Marco Mescolini, il quale verrà cacciato dal Csm dalla Regione con la motivazione di aver coperto il Pd rallentando inchieste o, come scritto nero su bianco dall'ex pm antimafia Roberto Pennisi, non ravvisando la necessità di indagare politici di sinistra su cui c'erano diversi indizi. Gli unici che Mescolini indagò furono Bernini e Pagliani, due esponenti del centrodestra poi assolti da tutte le accuse. «Fa piacere constatare che la pm Beatrice Ronchi, che lavorò al fianco di Mescolini, decida oggi di correre ai ripari in tema di contrasto alle collusioni tra politica e Ndrangheta: meglio tardi che mai! Mi riferisco a ciò che non fu fatto nell'inchiesta Aemilia appunto», è il commento sarcastico di Bernini.

Dall'inchiesta Aemilia, Vezzani e Coffrini non furono mai lambiti nonostante entrambi avessero espresso pubblicamente parole di elogio e difesa nei confronti dei membri della cosca. Su come venne condotta quell'inchiesta, il governo ha da poco avviato un'indagine ispettiva.

Ed è singolare la coincidenza temporale con le indagini dei due ex Pd.

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