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Perfidia, veleni e macchinazioni Quando le donne odiano le donne

Perfidia, veleni e macchinazioni Quando le donne odiano le donne

«Io a volte mi chiedo se lei faccia pace con il cervello prima di parlare», «Lei è proprio l'ultima da cui accetto lezioni di moralità. Da quella poco di buono che ha fatto passare la baby sitter come assistente parlamentare, facendola pagare con i soldi dei cittadini». Stilettate pesantissime che si leggono in questi giorni, sbobinate da chat private in cui la più chiacchierata sindaca (per usare un lessico boldriniano) italiana del momento riversa perle di veleno su un'esponente del proprio partito che aveva osato criticarne scelte e profilo.

È proprio vero che le peggiori nemiche delle donne siano proprio le donne. Oggi come sempre: dalle matrone romane alle regine e imperatrici di epoca medievale e moderna alle donne dei nostri giorni. Illustri rappresentanti delle più subdole macchinazioni. Niente di nuovo, dunque, sotto il sole. L'intercettazione romana non è che l'ennesimo combattimento fra galli tutto in salsa rosa, fuoco «amico» tra due politiche che, pur minoranza in una maggioranza di maschi, riescono a dimenticare ogni minima solidarietà di genere. Si graffiano, soffiano, sibilano, si accaniscono l'una contro l'altra cercando pretesti che spesso invadono la sfera privata, l'immagine, le capacità. Salvo poi indignarsi e schierarsi compatte a difesa di cancelliere teutoniche di turno o politiche di vecchia scuola Pd per presunte battute maschiliste sul loro sex appeal o fondoschiena: il solito vecchio schema per cui il primo peccatore è chi per prima denuncia il peccato. Novelle Savonarola dell'ipocrisia, tutta femminile, che conduce noi donne a difenderci, in pubblico, e criticarci, in privato.

La verità è che tra donne non ci amiamo, non ci stimiamo, se possiamo affossarci lo facciamo volentieri. Siamo paladine, a parole, di un femminismo che ci ha insegnato il valore dell'emancipazione e parificazione, dimenticando che la nostra natura crudele prenderà il sopravvento non appena sentiamo avvicinarsi il pericolo di un'avversaria capace di rubarci la scena. Il pettegolezzo, vezzo femminile, è radicato nel nostro Dna, e così la rivalità accecante. Le nostre armi non sono i muscoli, ma le sinapsi che elaborano vendette sottili, se vogliamo persino più sanguinose. Un uomo urla, s'impone fisicamente, ma poi si sgonfia e dimentica. Noi donne no, sappiamo come colpire e dove colpire con la precisione di un tiratore scelto. Miti e fiabe sono intrisi di figure femminili terribili che, per invidia, colpiscono donne come loro. La perfidia le accomuna nella macchinazione di intrighi e stratagemmi per arricchire se stesse o per preservare la posizione raggiunta. Atena stracciò la tela-capolavoro di Aracne, Era privò della voce la ninfa Eco e trasformò la ninfa Callisto in un'orsa: non a caso l'invidia era impersonata da Megèra, una delle spietate Erinni. D'altra parte, già nel nel 1600 lo scrittore francese Jean de La Bruyère declamava: «Le donne sono estreme: o migliori o peggiori degli uomini».

Ecco, aggiungo io: nella perfidia, sicuramente le peggiori, nel coraggio e nella fermezza le migliori.

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