Larghe intese impossibili, sinistra in difficoltà e centrodestra in vantaggio, anche se non abbastanza da ottenere la maggioranza dei seggi in parlamento. L'Italia fotografata dalle simulazioni post voto del professor Paolo Natale, pubblicate dalla fondazione David Hume (www.fondazionehume.it) è un paese spaccato in tre. Tre come i principali contendenti che si sfideranno alle prossime elezioni politiche: il Pd allargato a civici e radicali, il centrodestra unito e il Movimento 5 Stelle. Tre come le anime dell'Italia. Il Nord, tutto a favore del blocco Forza Italia-Lega-Fratelli d'Italia, il Centro, nel quale Matteo Renzi e Pietro Grasso si scontreranno nelle regioni rosse, e il Sud, terreno di conquista dei grillini, che dovranno però vedersela con gli uomini di Silvio Berlusconi. «Ma il centrodestra continua a crescere, e secondo me ha ancora un potenziale», dice il professor Luca Ricolfi, copresidente di fondazione Hume. Che aggiunge «un effetto Berlusconi potrebbe regalare qualche chance di maggioranza assoluta».
Le elaborazioni di Paolo Natale sui dati raccolti dall'istituto Ipsos di Milano lasciano presagire una situazione di stallo, nella quale il centrodestra beneficerebbe dei collegi uninominali del Rosatellum. Secondo il professor Ricolfi, «dato che non si può fare il voto disgiunto, il centrodestra offre un menu più ricco, potendo contare su tre forze politiche notevolmente diverse tra di loro». La coalizione guidata da Berlusconi, Salvini e Meloni è data sopra il 36 per cento, e otterrebbe circa 250 seggi a Montecitorio. Molto, ma per acciuffare la maggioranza assoluta a quota 316 ancora non basta. Secondi sarebbero i grillini, dati attorno a 170 deputati. Dice ancora il professor Ricolfi: «La forza dei 5 stelle nei collegi meridionali si concentra in Sicilia, non è uniforme in tutto il Sud. Al Nord, il radicamento del centrodestra è più profondo». Terzo, infine, il Pd, che assieme agli alleati di Alternativa popolare e ai «cespugli» di Giuliano Pisapia e Emma Bonino, si attesta poco sopra i 160 seggi. La «vocazione maggioritaria» dei dem, indicata da Walter Veltroni all'epoca della nascita del partito, si scontra però con quella parte di elettorato di sinistra che continua a premiare le ali estreme. Il nuovo soggetto guidato dal presidente del Senato Pietro Grasso, Liberi e uguali, è oggi al 6 per cento. Un risultato sufficiente a mettere i bastoni tra le ruote a Renzi. Il naufragio delle residue possibilità di coalizione con la sinistra di Mdp, che domenica scorsa ha investito Grasso della leadership, potrebbe costare ai renziani una ventina di scranni a Montecitorio. «Sia al Pd che ai bersaniani converrebbe coalizzarsi, soprattutto nei seggi del Nord», spiega Ricolfi, «ma una cosa che hanno in comune Pd e sinistra purosangue è la volontà identitaria, vogliono marcare la propria differenza, la propria specificità». Lontana appare invece ogni ipotesi di «governo del presidente»: «Mattarella non vuole passare alla storia alla stessa maniera di Napolitano. Solo un attacco speculativo contro l'economia potrebbe condurre a un esito del genere. In caso di stallo, ci rimanderebbe al voto».
Nel frattempo, alla Camera, si litiga sui collegi. Ieri, in commissione Affari costituzionali è stato ascoltato il presidente dell'Istat, Giorgio Alleva, a capo del gruppo di esperti che ha ridefinito la mappa dei collegi elettorali della Camera e del Senato, già approvata in Consiglio dei ministri. Emanuele Fiano, del Pd, ha accennato a possibili modifiche che rispecchino «le realtà amministrative oggi vigenti», provocando la levata di scudi di Forza Italia e 5 Stelle. I grillini non parteciperanno al «tavolo della spartizione del territorio», scrivono in una nota Danilo Toninelli e Vito Crimi.
Per Fi, avverte il deputato Gregorio Fontana, sarebbe invece «un fatto gravissimo» stravolgere l'assetto disegnato dall'Istat. «Il Pd ha capito che spostando qualche Comune può prendere qualche collegio in più», commenta Ricolfi. Che avverte: «Non va bene che su questo tema negozino i partiti, l'Istat è un arbitro imparziale».
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